La quattordicesima domenica del tempo ordinario, intervista a Lodo Guenzi

Lodo Guenzi, di nuovo attore, parla del personaggio di Marzio, al centro del nuovo film di Avati

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Lodo Guenzi, La quattordicesima domenica del tempo ordinario

Cè una singolare consonanza tra il personaggio di Marzio, protagonista de La quattordicesima domenica del tempo ordinario, il nuovo film di Pupi Avati in sala dal 4 maggio con Vision, e Lodo Guenzi che lo interpreta nella versione da giovane, mentre Gabriele Lavia recita in quella da anziano.

Attore e cantante di successo, Lodovico Guenzi, classe ’86, è stato coprotagonista in Est (2020) e Improvvisamente Natale (2022) ed è anche il frontman de Lo Stato Sociale, ma intervistato da Ciak, chiarisce scherzosamente: “Ho convinto milioni di persone di essere un cantante senza mai aver preso una nota: credo sia questa la prova d’attore più importante che io abbia mai dato”.

Anche Marzio, nel film, è un giovane cantante degli anni ’70. Come Guenzi e lo stesso regista e sceneggiatore Avati, è bolognese, ma sembra un po’ il contraltare del suo interprete. Insieme al suo amico d’infanzia Samuele (Nick Russo/Massimo Lopez), Marzio fonda il gruppo musicale I Leggenda e, mentre sogna il successo, si innamora della bellissima Sandra (Camilla Ciraolo/Edwige Fenech), riesce a portarla all’altare, ma le cose per lui non andranno per il verso migliore.

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Il vero tema del film – spiega Guenzi – è l‘idea, totalmente mitomane, di lasciare un segno del proprio passaggio nel mondo e nella vita degli altri, di essere leggendari non solo nel campo musicale, ma anche stando con una ragazza incredibilmente bella. Ovviamente non è così e ha ragione Pupi quando dice di non aver mai conosciuto qualcuno che non sia un fallito”.

Ne La quattordicesima domenica del tempo ordinario il racconto procede saltando da un’epoca all’altra; dagli anni ’70 ai ’90, Avati racconta la storia di un uomo che non ha avuto successo, ma non ha mai smesso di sognare, da giovane come da anziano.

Questa storia mi è caduta tra le mani nel momento in cui avevo finito la voglia di correre per raggiungere cose sempre più grandi, riempire sempre più stadi, fare sempre più biglietti e andare a Sanremo, nel momento in cui per una serie di circostanze avevo cominciato a chiedermi, proprio come nella canzone, ‘perché lo fai?’. Credo che la mia risposta sia: per raccontare come è stato bello lasciarsi trasportare da quelle cose che sanno di magia, come mettersi su un furgoncino a vent’anni con tuoi i migliori amici con la fallimentare convinzione di conquistare il mondo”.

A differenza del suo interprete, Marzio non riuscirà mai ad arrivare a Sanremo, ma l’attore conosce per esperienza personale il senso vero di questa storia. “Anche se fosse riuscito ad andare al Festival, magari pure vincendo, la sua vita non sarebbe davvero cambiata, ‘perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia’ – spiega Guenzi, continuando con il suo straordinario gusto per le citazioni musicali – Quella di Marzio sarebbe comunque rimasta una vita profondamente ossessionata dalla fame insaziabile di lasciare un segno”.

Qualcosa di Marzio vive probabilmente anche in Avati che a 84 anni, dice Guenzi, fa ancora tutto con la stessa passione e il desiderio di leggenda di sempre, ma allo stesso tempo “sa mostrare immediatamente la sua fragilità e quindi ti mette in una condizione in cui se non scopri l’anima anche tu sei un po’ come uno vestito in una spiaggia di nudisti”.

Per Guenzi La quattordicesima domenica del tempo ordinario è anche “una lettera d’amore alle persone con cui ho condiviso i 10-15 anni più strani, colorati, improbabili e rischiosi della mia esistenza, che hanno provato a salvarsi la vita suonando e alcuni non ce l’hanno fatta”.

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