Definito in tempi non sospetti una “versione dark di Pinocchio” dal suo protagonista, un mai così irriconoscibile Nicolas Cage, arriva finalmente in sala il Longlegs di Oz Perkins (figlio dell’Anthony di Psycho), distribuito al cinema da Be Water Film in collaborazione con Medusa Film a partire dalla data di uscita del 31 ottobre. A duettare con – e inseguire – l’attore Premio Oscar, la Maika Monroe di Watcher e It Follows, al quale questo film punta a strappare il titolo di film più terrificante degli ultimi anni.
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IL FATTO:
Anni ’90, Lee Harker è un’agente dell’FBI poco esperta, che viene coinvolta per le sue capacità da “Mezza sensitiva” nell’interminabile indagine su una serie di efferati omicidi-suicidi che insanguinano la regione da anni. Da 30 anni, infatti, un misterioso Longlegs – così sono firmati i biglietti ritrovati sul luogo dei delitti – è collegato agli assassini di dieci famiglie, bambini compresi, uccise dentro la propria casa dal padre/marito di turno, reso folle da una forza capace di farne l’esecutore delle proprie terribili intenzioni. Questo il sospetto del Bureau, che spera nella “altamente intuitiva” nuova leva per decrittare i messaggi, scritti in uno strano alfabeto, nei quali potrebbe nascondersi la chiave dell’enigma.
L’OPNIONE:
Non esattamente il ‘film più terrificante del secolo’ (e forse nemmeno dell’anno), Longlegs si mostra però decisamente molto inquietante, sin dal prologo, costruito ad hoc con una inquadratura ‘rosso sangue’ da Super8 che ci riporta agli anni ’70 dove il trauma messo in scena nel film affonda le sue radici. Radici che si ramificano, vista la premessa, che punta a trasmettere la sensazione di pericolo incombente, per tutti. Un serial thriller psicologico e malato, più che un horror tout court, spaventoso per la facilità del pazzo – o del Male di turno di raggiungere le vittme più insospettabili e che sceglie abilmente di muoversi tra Crime e soprannaturale nel periodo definito del ‘Satanic Panic’.
Un po’ Seven, un po’ Zodiac, molto Silenzio degli Innocenti (anche per la fattura delle bambole disseminate lungo il percorso), con un pizzico di Amityville Horror. Almeno per atmosfera e ambientazioni, anche se stavolta siamo in un Oregon familiare, dimesso, a tratti suburbano – per quanto le location siano quelle di Vancouver e della British Columbia – e l’indagine vera e propria procede in maniera un po’ macchinosa, eppure coinvolgente, facendosi facilmente perdonare qualche inverosimiglianza.
Anche grazie alla cura formale dimostrata dal cinquantenne Oz Perkins di February – L’innocenza del male, Sono la bella creatura che vive in questa casa, Gretel e Hansel. Colori caldi, sfocati, in un buio pronto a prendere il sopravvento dell’inquadratura, luci ocra e arancioni, per creare un’immagine quasi monocromatica, seppiata, in un generale bruno, quasi bruciato, che fa il paio con le riprese fisse sui protagonisti, isolati in spazi troppo ampi per loro soli. Una sensazione acuita da effetti quasi da fisheye, perfetti per rendere il mondo di suggestioni nel quale la protagonista vive, e si perde, soprattutto se sostenuta da un ritmo di dialoghi e una assenza di musica capaci di creare una lentezza generale, nel ritmo e nella recitazione, ben lungi dall’essere noiosa.
Nella quale nuota e scivola il delirante ‘Gambalunga’ di un irriconoscibile Nicolas Cage (che Fred Astaire ci perdoni per la citazione), quasi per nulla in scena nella prima parte del film e poco nella seconda, eppure di incredibile effetto e in grado di recitare solo con la bocca. Pallido e sepolcrale, il suo è un vampiro di anime – come suggerito dal titolo ispanico del film – anch’egli prigioniero di una maledizione, delle bizze e degli appetiti di un padrone più potente. Vittima, a suo modo, oltre che araldo della fine che annuncia la sua apparizione. Un personaggio unico, che merita sicuramente di entrare nell’ideale Olimpo dei mostri e sociopatici cinematografici più amati, e terrificanti, davvero.
Una figura non inquadrabile in maniera netta, capace di far pena e paura allo stesso tempo, che il film sembra evitare di giudicare, quasi a sottintendere una cesura netta tra il mondo dei ‘normali benpensanti’ e dei ‘tormentati’, squadra nella quale iscrive di buon grado anche l’agente FBI Lee Harker. Freak anche lei, sfruttata per catturare un altro diverso, come lei, quel Mr. Downstairs che conosce molto bene, L’uomo di un “mondo di sotto” al quale un gioco di regia molto esplicito ci suggerisce lei appartenga. Tanto per rendere ancora più incerto il finale, forse risolutivo, forse no, forse solo buono per perpetrare una catena che nessun profiler, nessun sensitivo, nessuna FBi potrà mai spezzare. E regalarvi una serata in più d’angoscia.
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Atmosfere e sviluppo dell’indagine, soprattutto nel suo farsi sempre più interiore e disperata (anche scenograficamente), rimandano spesso al seminale Se7en di David Fincher, ma è impossibile non pensare al rapporto con l’Anthony Hopkins de Il silenzio degli innocenti, per quanto con suggestioni del maniacale Francis Dolarhyde di Red Dragon.