Shōgun, epica e mistero nel Giappone del ‘600

Dal 27 febbraio su Disney+ la trasposizione del best seller di James Clavell. Gli autori: “Cast giapponese per una storia che racconta l’arrivo degli europei nella civiltà nipponica”

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Shōgun

L’atteso debutto della serie Shōgun, adattamento originale del romanzo bestseller di James Clavell, pubblicato nel 1975, ambientata in Giappone nell’anno 1600, è fissato su Disney+ per martedì 27 febbraio con i primi due episodi, seguiti da un nuovo episodio ogni settimana. La produzione americana si è avvalsa di un cast giapponese che vede il produttore Hiroyuki Sanada nel ruolo di Lord Yoshii Toranaga, in lotta per la sua vita mentre i suoi nemici nel Consiglio dei Reggenti si coalizzano contro di lui.

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Creata per la televisione da Rachel Kondo e Justin Marks, con Marks in veste di showrunner e produttore esecutivo insieme a Michaela Clavell, Edward L. McDonnell, Michael De Luca e Kondo, la serie prende il via quando una misteriosa nave europea viene ritrovata abbandonata in un vicino villaggio di pescatori, con il suo pilota inglese, John Blackthorne (Cosmo Jarvis), che porta con sé segreti in grado di aiutare Toranaga a ribaltare le sorti del potere e a distruggere la temibile presenza dei nemici di Blackthorne, i preti gesuiti e i mercanti portoghesi. I destini di Toranaga e Blackthorne diventano inestricabilmente legati alla loro interprete, Toda Mariko (Anna Sawai), una misteriosa nobildonna cristiana, ultima di una stirpe caduta in disgrazia.

Shōgun, alla scoperta di culture

«Tutti noi – sottolinea Justin Marks a Ciaksiamo cresciuti con questo libro sui banchi di scuola o letto dai nostri genitori. Quando abbiamo iniziato a scavare e a leggerlo ci siamo resi conto della sua modernità, perché contiene la storia del Giappone e dell’arrivo dell’Europa in Giappone. È costruita sul principio che forse potremmo usare un po’ di più empatia con le altre culture». La storia di Shōgun torna sul piccolo schermo dopo la miniserie del 1980 firmata da Jerry London, con protagonisti Toshiro Mifune e Richard Chamberlain, distribuita anche in un film per il cinema di 125 minuti.

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«Ringrazio il cielo – sorride Rachel Kondoche quando abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura, cinque anni fa, non avevamo idea di quanto sarebbe stato complesso. Abbiamo imparato prima a costruire il processo che ci avrebbe poi aiutato a raccontare una storia che non è unica, ma doveva essere unico il modo in cui l’avremmo raccontata». Qual è stato il punto di partenza? «All’inizio della storia – aggiunge Marks – ci sono tre prigionieri: Toranaga è un prigioniero politico, Mariko è un prigioniero del suo genere e della sua fede, Blackthorne è un prigioniero letterale, siamo partiti dall’idea che l’intera storia avrebbe dovuto ruotare intorno a questo concetto, di personaggi imprigionati, ciascuno in modo diverso, che cercano di liberarsi, ciascuno con i mezzi che può. Siamo stati fedeli a quell’idea, tutto è stato subordinato a quella, anche se la storia si è fatta sempre più grande e si è arricchita di storie e personaggi».

La lingua in Shōgun

Interpretata da un cast di attori giapponesi, la serie è stata girata in lingua giapponese, una scelta ben precisa fin dal principio. «Abbiamo scritto la storia in inglese – spiega Rachel Kondo –, poi l’abbiamo inviata ad un team di traduttori a Tokyo e da lì è andata a un drammaturgo giapponese per aggiungere un tocco letterario. Infine il testo è passato attraverso i filtri degli attori fino a che è stato ritradotto in inglese in modo da poter scrivere i sottotitoli in modo molto preciso. Purtroppo i sottotitoli non sempre coincidono con il testo e credo che il pubblico se ne accorga, noi volevamo davvero fare una traduzione senza sbavature». Un racconto che Marks si augura possa accendere la curiosità del pubblico sulla cultura giapponese: «Spero che Shōgun possa spingere lo spettatore a prendere un libro sulla storia giapponese e a visitare non solo il Giappone, ma qualsiasi Paese di cui non conosce la cultura. Forse tutti possiamo iniziare a essere più curiosi e guardare alle culture che non sono la nostra».