Storie (vere) dal Pianeta Covid: presentata Aria, la docu-serie di RaiPlay sulla pandemia

Su RaiPlay la miniserie doc partecipata sugli italiani all’estero durante il Covid: ne hanno parlato su Zoom i co-autori Daniele Vicari, Andrea Porporati e Costanza Quatriglio

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Presentata su Zoom Aria, la docu-serie (prodotta da Minollo Film, su RaiPlay dal 29 dicembre) che racconta gli italiani (nel mondo) al tempo del Covid. Intervenuti per l’occasione i registi Andrea Porporati, Costanza Quatriglio e Daniele Vicari, realizzatori della miniserie insieme a Chiara Campara, Francesco Di Nuzzo, Flavia Montini, Pietro Porporati e Greta Scicchitano.

Sei puntate dai quindici ai venticinque minuti ciascuna, con materiale girato dagli stessi protagonisti tra marzo e luglio 2020, per altrettante testimonianze dai Paesi più diversi (Brasile, Francia, Cina, Kenya): a comporre un unico affresco che, come altre produzioni in questo annus horribilis (e oltre), affronta di petto i traumi collettivi della pandemia e del lockdown.

Di peculiare, qui, c’è anzitutto il titolo, che si richiama a un’altra arte collettiva della nostra tradizione storico-artistica, il teatro d’opera: «L’aria in un’opera lirica», hanno dichiarato gli autori della serie, «è il momento in cui un personaggio esce dal contesto della Storia e canta al pubblico chi è e cosa sente veramente, la sua storia nella Storia». Un titolo, aggiunge il Direttore di RaiPlay Elena Capparelli, che rappresenta inoltre «l’aria che ci era mancata, ma anche un grido verso l’aria da ritrovare».

Rispetto ad altre iniziative analoghe di questo periodo c’è poi quello che Maurizio Imbriale, vicedirettore di RaiPlay, ha definito un «respiro molto più largo, internazionale», ovvero la volontà di uscire «fuori dai confini nazionali» mettendo a fuoco in particolare la condizione di alcuni cittadini italiani che spesso «sono stati dimenticati», cioè quelli all’estero.

«Abbiamo pensato di prendere il nostro mestiere in mano e spingerlo un po’ oltre», afferma Vicari, tra i pionieri in Europa del film partecipato con Il mio paese 2.0 (2007). Un esperimento di «devoluzione» cinematografica, lo definisce il regista, per «restituire ai testimoni lo strumento del racconto audiovisivo». Dunque «la grande scommessa, ma anche la necessità e l’opportunità era che i testimoni scelti si riprendessero da soli», come spiega Andrea Porporati: «Alcuni si sono innamorati di questo modo di raccontare e lo hanno portato avanti per molti mesi».

Un’altra sfida non da poco è stata il lavoro sul montaggio, durato da luglio a ottobre. Con un’emblematica fase di impasse per la scelta della musica: «Non si riusciva a comporre, non si riusciva a trovare quale fosse il bandolo della matassa», finché l’autore Francesco Cerasi non è arrivato alla soluzione: «Per la prima della mia vita devo usare la musica non per raccontare qualcosa ma semplicemente per accompagnare», come nei film muti di una volta.

Storie nella Storia scritta (tragicamente) dal Covid, dunque, ma anche dalla determinazione a non arrendersi che emerge sin dalla comune tensione al racconto. Storie di persone in movimento, piuttosto che in stasi da isolamento forzato, come sottolinea Vicari: «Persone che fanno del movimento il senso della propria esistenza, della propria vita, in Italia e fuori dall’Italia». Tra queste c’è Daniele Sciuto, che in Aria ha accettato di raccontare la sua esperienza in prima linea, lavorando presso un ospedale del Kenya. Emblema di un continente, l’Africa, dove, ha affermato Sciuto, si consuma da mesi «un dramma sotterraneo, che quindi non fa tanto notizia».

Storie che, aggiunge Porporati, pur non esaurendosi nel tempo degli episodi, lasciano «una sensazione di provvisorio lieto fine», l’impressione che «il tempo ha ricominciato a scorrere per tutti». Un piccolo contributo positivo a scrivere la Storia dell’uscita dalla pandemia vuole darlo la stessa miniserie, i cui proventi saranno devoluti all’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani.

Ma la sfida di questo e altri documentari sull’epoca della pandemia è anche quello di sottrarre la riflessione su un periodo così difficile e complesso alla superficialità della Babele social-mediatica: «Il magma di immagini che abbiamo vissuto e a volte viviamo anche passivamente ha bisogno di un’organizzazione del pensiero», afferma Costanza Quatriglio. Si tratta perciò di «cambiare la nostra esistenza e, per noi che facciamo cinema, cambiare un pochino il cinema», come ha detto Vicari.

Quest’ultimo, a proposito di film al (e sul) tempo del Covid, ha anche aggiornato sul suo nuovo film Il giorno e la notte, girato in regime di smart-working: «Lo stiamo ultimando, come potete immaginare abbiamo dei grossi problemi a trovare una distribuzione». Sempre riguardo al lungometraggio in arrivo, il regista ha espresso soddisfazione per la nascita della società di produzione KON – TIKI Film, «che ci permetterà di far vivere i nostri lavori pensati un po’ al limite tra il cinema, la rete e la multimedialità in genere, perché crediamo molto in questa forma», nella quale secondo Vicari potrebbe risiedere anche «il futuro della televisione».

Emanuele Bucci