Ne sapremo di più da domani, sul Corriere della Sera, ma già oggi trapela la notizia del ritorno di uno degli eroi italiani più famosi e capaci di attraversare le epoche, il Trinità di Terence Hill. Che, intervistato da Enrico Caiano, racconta di essere prossimo a vestire anche i panni del regista nel western in arrivo, che dovrebbe vederlo sul set nei prossimi mesi.
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“Spero di partire in estate a girare in Abruzzo”, confida l’attore ed ex Don Matteo, a un passo dal tornare a un vecchio amore. Che oggi continua a furoreggiare su Netflix in Lo chiamavano Trinità… (insieme ad altri classici della coppia composta con Bud Spencer) e che potremmo presto vedere insieme a “personaggi veri del West, come Billy the Kid”.
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Datato 1970, il film di E.B. Clucher/Enzo Barboni ha da poco compiuto 50 anni, un compleanno che oltre a confermare il grande affetto del pubblico per il personaggio – e aver segnato l’apertura di un permanente “Museo Trinità” a Rocca delle Macìe nel comune di Castellina in Chianti (Siena) – deve aver suggerito a Mario Girotti (questo il vero nome di Terence Hill, come noto) la possibilità di riportarlo in vita.
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Soprattutto dopo le tante curiosità regalate sui tempi andati e i giorni passati con Sergio Leone, che ancora oggi – come si legge sul Corriere – “mi manca tanto”, come confessa l’intervistato. Che racconta:
“Stavamo girando Il mio nome è Nessuno, e guardavamo in moviola la scena del mucchio selvaggio di cowboy che arrivava compatto a tutta velocità. Fu allora che mi prese per mano e andammo in una zona buia del set, dove riuscivo appena a scorgerne la faccia. Ruppe il silenzio e mi disse con volto serissimo su cui mi accorsi che scendevano le lacrime: ‘Questo è il western’. Vedere quel romanaccio di Leone, brusco, disincantato, che riusciva a commuoversi per lo slancio di libertà dei cowboy, dell’eroe del West, un personaggio più grande della vita stessa, mi fece capire che c’era qualcosa di soprannaturale, di mistico appunto in quella visione del mondo. Che da quel momento divenne anche la mia”.
Al punto da trovarvi qualcosa di “mistico” e di definire il Western stesso un “sinonimo di libertà”.