Un altro Ferragosto: stesso mare, un’altra Italia. Intervista a Paolo Virzì

Paolo Virzì torna sull’isola di Ventotene con Un Altro Ferragosto, sequel di Ferie d’agosto, commedia amara su conflitti familiari in un Paese che ancora una volta ha cambiato pelle.

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Un altro Ferragosto

Atteso per quasi tre decenni, arriva nelle sale il 7 marzo con 01 Distribution Un altro Ferragosto di Paolo Virzì, sequel di Ferie d’agosto, che nel 1996 aveva fotografato l’Italia di Berlusconi. Le due tribù, la comitiva Molino e la famiglia Mazzalupi, tornano a Ventotene, i primi per regalare un’ultima estate a Sandro, malato terminale, e i secondi per festeggiare un matrimonio molto social. A Silvio Orlando, Sabrina Ferilli, Laura Morante, Gigio Alberti, Paola Tiziana Cruciani, Raffaella Leborroni si aggiungono, tra gli altri, Christian De Sica, Vinicio Marchioni, Emanuela Fanelli, Anna Ferraioli Ravel. Virzì, che ha scritto la sceneggiatura insieme al fratello Carlo e a Francesco Bruni, parla con Ciak del suo nuovo film sull’Italia di oggi.

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Un film per chi ha amato Ferie d’agosto e per chi non ha mai incontrato i Molino e i Mazzalupi.

Nella mia testa c’erano i romanzi famigliari di queste due comitive. Il film nasce da una pressione fortissima, affettuosa e ostinata, quasi ossessiva, degli spettatori e degli stessi attori che, già due anni dopo Ferie d’agosto, mi chiedevano di realizzarne il seguito. Ma io non mi sentivo uno da sequel, e nel frattempo sono morti Piero Natoli ed Ennio Fantastichini. Poi un giorno a Bologna, dopo la proiezione in Piazza Maggiore di Ferie d’agosto, appena restaurato dalla Cineteca, un signore mi disse: «Scusi Virzì, ma un regista come lei si fa spaventare dal tema della morte?». E poi avevo fatto un sogno: Ennio e Piero, insieme ai “confinati” Altiero Spinelli, Sandro Pertini e Ursula Hirschmann a Ventotene, mi dicevano: «La fai finita di fare il prezioso? Ma chi credi di essere?». Un altro Ferragosto è un film che dialoga con i fantasmi. I romanzi biografici o d’appendice inoltre, che ho amato soprattutto da ragazzo, mi hanno molto nutrito. Il tempo che passa è un ingrediente romanzesco formidabile.

La struttura dei due film è la stessa.

Sono commedie corali alla Amidei, con unità di tempo e luogo. Far proseguire un racconto che ha una sua compattezza cronologica e logistica ventisette anni dopo significa dargli un respiro da romanzo. Non rivedo mai i miei film, troppe cose mi fanno soffrire, mentre mio fratello Carlo è un feticista di Ferie d’agosto, lo conosce a memoria. Era la mia seconda regia dopo La bella vita, non sapevo ancora girare, avevo preso una steadycam, ma ero molto concentrato sugli attori, non mi importava nulla dell’isola, che questa volta invece faccio vedere meglio. Ho usato la stessa tecnica del primo film, passando continuamente dai Mazzalupi ai Molino e viceversa. Un altro Ferragosto è dunque un film dialettico, dove si confrontano e intrecciano due modi di stare al mondo, due accenti, lessici, due modi di mangiare, di soffrire, di stare in mutande, con una musicalità che mi divertiva.

Il tema della morte è forte, Fantastichini e Natoli sono rievocati da foto e immagini di Ferie d’agosto.

Ho montato il film con Jacopo Quadri, appassionato manipolatore di materiali, ma abbiamo usato pochissimi frammenti del vecchio film in modo lirico, per mostrare quello che diceva Jean Cocteau sul cinema, «la morte al lavoro sul corpo degli attori». Ho visto fare questa cosa solo una volta al cinema, da Robert Guédiguian, che in La casa sul mare usa la scena di un suo vecchio film, Ki lo sa?, con gli stessi attori da giovani.

Il dolore che avvolge i personaggi è palpabile.

Più della satira politica mi piaceva mettere a fuoco le relazioni, una galleria di amori tristi, infelici, ridicoli, disturbati, tossici. Raccontare cosa fa il tempo alle persone: le fa migliorare, le fa diventare più sagge? Non è la mia idea. Di malinconia però ce n’era tanta anche in Ferie d’agosto. L’Italia Fininvest aveva vinto le elezioni e quando fui chiamato dalla principale major dell’epoca, Cecchi Gori, che vantava il listino più ricco popolato soprattutto da Parenti, Villaggio, Montesano, Celentano, organizzai una piccola truffa proponendo un film che sembrava una di quelle commedie leggere e balneari. Ma dentro si nascondeva un discorso sull’Italia e gli italiani e il racconto di infelicità coniugali. Quelle della piccola borghesia sguaiata e illetterata, con una ragazzina che arrivava a puntarsi una pistola contro. E quelle di un mondo alternativo, più libero e aperto, ma pieno di insoddisfazioni e conflitti. Dopo quasi tre decenni vediamo cosa è successo a queste coppie e alle loro relazioni, cos’hanno provocato le morti, come si è trasformata una famiglia di bottegai dell’Appio Latino. Sabry, ad esempio, è diventata una persona inaspettatamente di successo proprio in virtù dei suoi limiti e deficit, perché si propone come modello non intimidatorio e giudicante, al punto che potrebbe anche ambire a un seggio alla Camera.

L’Italia oggi ha altri volti e altre voci.

Il primo film l’avevamo girato a Ventotene senza mai menzionare che cosa rappresentasse nella Storia italiana l’isola dove vennero confinati alcuni antifascisti. La scintilla di Ferie d’agosto è scoccata mentre ero in vacanza nell’estate del 1994 a Ginostra, con Silvio Orlando, Rocco Papaleo, Gigio Alberti. Sull’isola dove i pochi bagnanti spesso nudi vivevano senza elettricità, si sdraiavano su bellissimi stuoini di Bali leggendo libri Adelphi o Einaudi, approdò un giorno un’imbarcazione pacchiana dove alcuni ballavano Tarzan Boy, poi tormentone fracassone del film, e dove un tizio urlava in uno dei primissimi cellulari. Ricordo la reazione indignata delle persone che decisero di lasciare la spiaggia. Questa cosa mi sembrò molto buffa ed emblematica di quello che stava succedendo in Italia. Scelsi Ventotene, che avevo visto solo in un film di Moretti, perché era più comodo girare lì, ma non parlai di quello che era accaduto negli anni Trenta e Quaranta. Invece questa volta la questione la prendiamo di petto, con la consapevolezza di quanto siano peggiorate le cose in Italia sul piano della politica. Una volta si sfidavano due schieramenti, la sinistra democratica che leggeva libri e giornali, e i bottegai della nuova destra trionfante, che forse non era neanche destra, ma tv, karaoke, tette, allegria e risate. Oggi la tribù democratica non è più compatta e Sandro, il loro portavoce, poeta, opinionista, punto di riferimento, ora un po’ rincoglionito dalle proprie ossessioni, è trattato con condiscendenza. Insieme a Berlusconi è morta una stagione che è durata moltissimo, e ne è iniziata una nuova, dove il sentimento è meno festoso e più autenticamente, antropologicamente fascista, in quel modo naturale che sappiamo e che ormai non ci scuote neanche più di tanto. La questione di Ventotene diviene allora più emblematica.

È cambiato anche il tuo modo di guardare il mondo.
Emerge uno sguardo diverso, quello di un regista che non ha più trent’anni, che si porta dietro il proprio bagaglio, ed è un po’ malconcio. Ferie d’agosto era una commedia anche amara e malinconica, ma si concludeva con un sorriso. Qui è evidente uno sguardo più pessimista sulla società e sulla memoria. Il clima è molto diverso, sta crollando l’impalcatura che ci ha tenuto insieme, quella di valori condivisi come la Costituzione, l’Europa. Al tempo stesso però non volevo rinunciare al piacere della commedia, con un gioco un po’ jazzistico. Non riuscirei mai a separare il dramma dal cazzeggio, dalla gag, dalla mitomania, che così bene racconta la nostra contemporaneità.

Il figlio di Sandro è un imprenditore digitale, e i suoi soldi facili sono come un virus nei Molino.

Mi aveva colpito la storia vera del creatore di Signal, Moxie Marlinspike, billionaire a soli 23 anni. Altiero è un problema per i valori che Sandro ha cercato di trasmettergli. Il loro rapporto conflittuale è forse la cosa più commovente del film.