“KNIGHT OF CUPS”: COSA NE PENSIAMO DEL NUOVO FILM DI TERRENCE MALICK

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Rick (Christian Bale) è un autore di commedie che vive a Santa Monica. Desidera qualcosa di diverso, che vada oltre la vita che conosce, ma non sa cosa sia, né come trovarlo. La morte di suo fratello Billy grava su di lui come un’ombra, suo padre Joseph (Brian Dennehy) prova a causa di questa perdita degli enormi sensi di colpa e l’altro fratello, Barry (Wes Bentley), sta attraversando un periodo difficile. Rick cerca distrazione in compagnia delle donne: Della (Imogen Poots), Nancy (Cate Blanchett), una dottoressa con la quale è stato sposato, una modella di nome Helen (Freida Pinto), Elizabeth (Natalie Portman), dalla quale aspetta un figlio, una spogliarellista di nome Karen (Teresa Palmer), e una giovane donna che lo aiuta a guardare avanti, Isabel (Isabel Lucas). Gli sembra che le donne sappiano molto più di lui, che lo avvicinino al cuore delle cose, al mistero. Ma è tutto inutile: le feste, i flirt, la carriera, nulla lo soddisfa.  

Hollywood torna a raccontare la propria crisi di identità e star deluse da un successo effimero alla ricerca di una vita più autentica. Dopo Map to the Stars di David Cronenberg, Birdman di Alejandro Gonzales Inarritu e Manglehorn di David Gordon Green, tocca a Terrence Malick affrontare l’argomento, che ormai oltreoceano è una vera e propria tendenza. Il suo settimo film, Knight of Cups, prosegue l’indagine dello schivo regista su personaggi tormentati e in cerca del senso della propria esistenza, sulla scia dei precedenti Tree of Life e The Wonder.

La macchina da presa di Malick segue questa volta Rick, schiavo dell’alienante sistema hollywoodiano, ossessionato dal successo, ma al tempo stesso bisognoso di riempire il vuoto della propria vita. Nella città degli angeli, a due passi dal deserto, abita in un mondo fatto di illusioni, ma sogna la vita vera, annoiato e affamato di stimoli esterni. Ancora una volta la voce off del protagonista accompagna il flusso di immagini cercando di dare loro autenticità, mentre  architetture fredde e funzionali contrastano con la bellezza senza tempo della natura. E il monologo interiore di Rick si intreccia con le voci delle donne che incrociano il suo cammino, ognuna delle quali diventa simbolo di diversi valori. Ma se in Tree of Life il sovrapporsi di spazi e tempi, le audaci associazioni di idee ed elementi della natura, i ritmi contrastanti e i monologhi interiori regalavano magia alla riflessione del regista, qui il meccanismo narrativo diventa di maniera, finto e dissonante, finendo per distruggere tutto lo stupore e la meraviglia che hanno sempre impregnato il cinema di Malick.