Al cinema dal 29 agosto 2018
LA STORIA – I resti dell’organizzazione criminale guidata da Solomon Lane (ora in carcere duro) si sono ricompattati e con il nome di Apostoli, guidati da un misterioso John Lark, stanno “acquistando” tre nuclei di plutonio per costruire altrettanti ordigni nucleari. Il team dell’FMI di Ethan Hunt si lancia a recuperarli. La strada sarà lunga, perigliosa e complicatissima: basti dire che contro Ethan, Benji e Luther si ritroveranno, oltre agli Apostoli, anche la Cia, dei criminali agli ordini della seducente “Vedova Bianca”, il sicario dell MI6 Ilsa Faust, più polizie locali varie. Tra Parigi, Londra e il Kashmir sarà un susseguirsi incessante di scontri, inseguimenti e catastrofi, comprese alcune sventate all’ultimissimo secondo.
L’OPINIONE – Consiglio: la trama lasciatela perdere! È durissimo cercare di far quagliare tutto il groviglio in qualcosa che sia scorrevole e logico in tutte le sue parti. Il sesto capitolo di Mission Impossible, a 22 anni ben portati dal primo, ritiene che la riflessione sia una perdita di tempo. “Non può esserci pace senza una grande sofferenza. Più grande è la sofferenza, più grande è la pace! Sta arrivando! Sta arrivando! E le tue mani si copriranno di sangue”, vaneggia Solomon Lane, già sgominato nel capitolo 5 Rogue Nation. “Ciò che è fatto è fatto…quando noi diciamo che è fatto”, sentenzia zio Ethan, riecheggiando involontariamente La leggenda del pianista sull’Oceano (“La storia non è finita fino a quando non è finita”) e con questo abbiamo finito con i pensierini. Ma il resto del film di Chris McQuarrie (alla sua seconda volta alla regia con Mission Impossible dopo il quinto capitolo, ma con in bacheca anche l’Oscar per la sceneggiatura di I soliti sospetti) è puro Luna Park di imprese oltre al limite del videogioco, tra cui due inseguimenti, tra le vie di Parigi (in auto/moto/camioncino, sopra e sotto la città) e i quartieri modernissimi di Londra (questo in stile parkour estremo), più uno con tamponamenti in elicotteri tra le vette dell’Himalaya (girato in Norvegia) che fa sembrare il Cliffhanger di Stallone un’impresa da boyscout.
Le note di produzione ci assicurano che il produttore e star Tom Cruise ha voluto girare le scene di persona, tutte o quasi, compreso la guida all’elicottero, sfasciandosi pure una caviglia contro un cornicione. In ogni caso la sua forma è asciutta come la sua recitazione, quindi al minimo di rischio scult (e sotto sotto, a noi fan di Nicolas Cage e Van Damme, questo un po’ spiace), i dialoghi briosi e la vitalità dei caratteri di contorno (specie quelli dei soci Ving Rhames e Simon Pegg) strappano i sorrisi e gli effetti speciali sono impeccabili senza smagliature all’occhio nudo. Al posto di un videogame che volere di più?