“THE YOUNG POPE” IN TRE DOMANDE

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Sono state presentate oggi alla mostra del Cinema le prime due puntate di The Young Pope, la serie realizzata da Paolo Sorrentino con Jude Law nelle vesti di un giovane papa pieno di contraddizioni. Dopo la proiezione solo un timido applauso, ma c’è anche chi parla già di capolavoro. Potrete farvi la vostra opinioni a partire dal 21 ottobre, quando la serie sarà trasmessa su Sky Atlantic.

Ma che reazioni si aspetta Sorrentino dal Vaticano?

Paolo Sorrentino: È un problema del vaticano, non mio, ma non è nemmeno un problema in realtà. Se avranno la pazienza di vederlo fino in fondo capiranno che non è una provocazione e non nasce da nessun pregiudizio o intolleranza. È un lavoro che indaga con onestà e curiosità, fin dove può, le contraddizioni e le difficoltà della Chiesa e anche il fascino del clero, dei preti, delle suore e di un prete un po’ diverso da tutti gli altri, che è il Papa. Il Papa che abbiamo trattato nella serie è diametralmente opposto a quello attuale, perché credo che sia verosimile che dopo un Papa come Francesco, così liberale, ne possa arrivare uno più conservatore. Credo sia abbastanza illusorio credere che la Chiesa abbia avviato un cammino verso la liberalità. Il nostro Papa non è inverosimile, credo che in un futuro non troppo lontano potrebbe accadere che venga scelta una persona del genere.

Come è stato per Sorrentino passare dalla scrittura cinematografica a quella televisiva?

L’ho scritta insieme a Grulli, Grisoni e Contarello, è difficile ma eccitante, si ha la possibilità di approfondire molto i personaggi e concedersi delle digressioni che il cinema tende a censurare per questioni di tempo. Ho dovuto tener conto molto di più di una tenuta narrativa. Qui c’è molta più storia e ho provato anche a trasferire certe sintesi che si fanno nel cinema. Ma di fatto io considero questa serie un lungo film di dieci ore. Ha anche aiutato che ho potuto fare questo lavoro con tutta la libertà e con tutto il budget di cui avevo bisogno.

Com’è stato per Jude Law interpretare un Pontefice?

Sono stato felice di aver avuto un ruolo così stratificato, il copione mi aveva molto emozionato, era simile al lavoro di Paolo che già conoscevo, adoro il suo linguaggio visivo, era bello essere un colore sulla sua tavolozza. Poi ero entusiasta dall’opportunità di portare sullo schermo un personaggio che ha così tante contraddizioni. Solo dopo mi sono reso conto che dovevo essere un Papa e non sapevo che lavoro fare per dare un certo peso, una credibilità a questo ruolo, ma Paolo mi ha sempre ricordato che stavamo parlando di un uomo. In più quando si è un uomo con un ruolo pubblico c’è sempre il problema di chi si vuole essere per il pubblico e di come si è nel privato, e da attore queste sono dinamiche che mi sono familiari