Montaldo fa 90

La 56ma Mostra Internazionale del Cinema di Pesaro celebra i 90 anni di Giuliano Montaldo con una selezione dei suoi film, la pubblicazione di un volume monografico e una tavola rotonda con la sua partecipazione.

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La 56ma Mostra Internazionale del Cinema di Pesaro celebra i 90 anni di Giuliano Montaldo (genovese, nato il 22 febbraio 1930), con una selezione dei suoi film, la pubblicazione di un volume monografico e una tavola rotonda con la sua partecipazione.

Se si potesse sintetizzare con due sole parole il modo di vivere il cinema di questo splendido decano, sceglieremmo, senza indugio alcuno, curiosità ed entusiasmo. Instancabile sul set dal 1951 al 2017 (entrambe le date come attore, visto che è da lì che ha cominciato, scelto da Lizzani per “Achtung banditi” e da lì ha preso congedo – per ora – con “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni, con tra l’altro premio ai David come non protagonista), è stato interprete, sceneggiatore, regista (cinema, tv, documentari, inchieste), nonché Presidente dell’Accademia del Cinema.

La curiosità lo ha portato a frequentare tutti i generi, con l’entusiasmo di chi vuole sempre innanzitutto conoscere e sperimentare (da citare, a proposito, anche il suo approccio da ricercatore con le nuove tecnologie elettroniche negli anni ottanta). Le regie che ha firmato (15 lunghi, 2 serie tv tra cui il premiatissimo nel mondo “Marco Polo”, 8 documentari, 1 corto) ne testimoniano l’ecletticità, sia pure con l’evidente preferenza per il cinema drammatico di impegno, vissuto senza plumbea pedanteria ma “sempre dalla parte di chi lavora”.

Dal cinema bellico-resistenziale-antifascista (dal non fortunato esordio di “Tiro al piccione”, 1961, a “Gott Mitt Uns”, 1970, e poi “L’Agnese va a morire”, 1976, “Gli occhiali d’oro”, 1987, “Tempo di uccidere”, 1989) alle coproduzioni internazionali di genere (“Ad ogni costo”, 1967, Gli intoccabili”, 1969); dalle corpose ricostruzioni storiche (“Sacco e Vanzetti”, 1971, “Giordano Bruno”, 1973, “I demoni di San Pietroburgo”, 2008) a tesissimi drammi quasi freddi melo ambientati nel mondo del lavoro (“Una bella grinta”, 1965, “Il giocattolo”, 1979 – titolo che forse andrebbe recuperato – “L’industriale” che è poi l’ultimo suo lungometraggio, con Favino e Crescentini, datato 2011).

Tanti i premi, qualche tonfo di botteghino, soprattutto un pugno di titoli che resteranno nella memoria come esempi del miglior cinema d’impegno, quello articolato e capace di porre domande accanto alle sue tesi di denuncia. Sul set all’occorrenza sapeva indossare i panni del volitivo “despota” : clamoroso e aneddotico il primo impatto con un elemento difficile e pignolo come Cassavetes in “Gli intoccabili”, mentre amichevolissimo e invece tenero quello con un’altra intrattabile belva da palcoscenico come Volontè che lui ha portato a livelli da culto in “Sacco e Vanzetti” e “Giordano Bruno”; sul set di “Il giocattolo” era stato soprannominato “Il martello di Genova” e ricordati come tostissimi i suoi scontri con i produttori per imporre il bravo ma poco conosciuto Riccardo Cucciolla per il personaggio di Nicola Sacco al posto del divo Yves Montand.

Ma sempre sul set sapeva comunque farsi amare, socializzando e organizzando memorabili cene (“tutte le sere stappavamo il vino ed era una festa!”, sempre dal set de “Il giocattolo”), perché Giuliano Montaldo, oltre alla grinta e al fiuto del grande cineasta, possiede il carattere cordiale e rispettoso con tutti di quelli che sono “signori dentro”, come ben sa chi ha avuto occasione di frequentarlo o anche solo intervistarlo.