Vi ha entusiasmato, vi ha divertito, ma qualcuno di voi è rimasto un po’ deluso: perché Tarantino si ama o si odia. Ecco le vostre 5 migliori recensioni di The Hateful Eight!

Nelle montagne innevate del Wyoming prende vita l’ottavo film di Tarantino, con i suoi otto protagonisti. Nessuno è chi dice di essere, ognuno cerca prove tangibili per identificare l’altro, il tutto sotto lo sguardo pietoso e onnisciente di un crocifisso innevato, inquadrato fin da subito nella sequenza iniziale. Tra violenza e menzogne, i dialoghi dei personaggi portano a galla rivendicazioni sociali, problematiche di un’America ben lontana dall’immagine di terra promessa che si è costruita intorno. Ognuno è indotto a diventare artefice della propria giustizia. Tarantino colpisce ancora: la musica di Morricone è una garanzia, interpretazione degli attori impeccabile, sceneggiatura brillante. The Hateful Eight è un film ibrido di generi e tematiche che vengono trattati con sapiente maestria.
Simona Luciani, Grottammare (AP)
Tarantino è sempre stato un regista âpoliticoâ: in quasi tutti i suoi film ha proclamato la sua personalissima visione del mondo. Che in The Hateful Eight è odiosa quanto mai: l’America della frontiera era un crogiuolo di cacciatori di taglie, criminali, sceriffi improvvisati, razzisti e canaglie. Da quel magma ribollente tensione il ritrovato Quentin sforna il suo film più estremo e coerente: fiumi di parole che esplodono come teste ed impiccagioni che marchiano più di lettere scarlatte. L’usuale miscuglio dei generi destabilizza ma non confonde lo spettatore, anzi l’ammalia con la sua iconoclastia narrativa (il geniale voice-off a metà pellicola dello stesso Tarantino). L’alto tasso di emoglobina del film fa il paio con quello versato dalle minoranze linguistiche nel corso dei secoli. L’enigmatico finale ci avverte che purtroppo le pistole dirimano le questioni quanto le missive dei presidenti.
Turco Mario, Gela (CL)
L’eccedenza è un difetto, piuttosto fastidioso, riscontrabile nelle pellicole di Tarantino. L’ho associata sempre alla smania di fare cinema che, molto probabilmente, lo induce a âfarsi prendere troppo la manoâ tanto da non riuscire a âdarci un taglioâ nemmeno in fase di montaggio. La mezz’ora di eccesso, tipica di Quentin, è nell’incipit prolisso che racconta l’incontro tra gli otto del titolo e, anche se può sembrare strano, il bello arriva proprio quando il racconto si concentra tutto in una stanza. Inquadrature ad effetto e trama scorrevole e coinvolgente con un paio di flashback impostati ad hoc: il resto è sangue e proiettili ma sappiamo che Tarantino fa western per poter sfogare più liberamente la sua fantasia macabra. Jennifer Jason Leigh è suprema, bravi anche Jackson e soprattutto Russell. Sommariamente un buon film ma Quentin ha fatto sicuramente di meglio, molto di meglioâ¦
Concetta Piro, Civitanova Marche (MC)
The Hateful Eight è una fatica per lo spettatore, con (troppi) personaggi sacrificabili e di magro spessore, usati solo per l’ennesimo e ormai ineludibile carnaio finale. Il guaio è che entrando in sala al secondo tempo perdiamo solo la bella Ouverture di Morricone: un cinema di intrattenimento che non intrattiene è, parafrasando Fellini, come una vecchia puttana che non sa dare piacere. Rivedere il film in pellicola (per quei pochi attrezzati in Italia) sarà una consolazione che verrà chiamata giustizia, ma âQuando una cosa è fatta senza passione, allora è giustaâ dice uno dei personaggi: rianimare la pellicola 70mm con The Hateful Eight potrà sembrare giusto, ma non per questo appassionante. Anzi, The Hateful Eight è odiosamente giusto.
Vittorio Bortolin, Pordenone, PN
In The Hateful Eight Tarantino regala tre ore di spettacolo con una magniloquenza cinematografica seducente, dove la parola lascia scientificamente posto all’azione passando dagli ampi spazi innevati a un chiuso emporio del Wyoming. L’altro lato di Django Unchained, più raffinato e studiato, ma di cui prosegue il messaggio politico iniziato con Inglorious Bastards. In questo western che diventa un giallo “alla Agatha Christie” si ritrovano Carpenter e Ford, abilmente miscelati con i personaggi in un polanskiano film da camera. Ritornano la divisione in capitoli di Kill Bill e un montaggio sullo stile di Pulp Fiction, il tutto confinato in un ambiente teatralmente affascinante dal sapore hitchcockiano. Magnificamente girato in pellicola nel formato 70mm lo spazio interno si dilata e assorbe la luce chiara della neve per una fotografia di colori forti che, unita alla nuova creazione sonora del maestro Morricone, incornicia divinamente queste otto malefiche iene messe a prova di morte.
Jacopo Guidi, Lucca