I critici, i fortunati romanzoni, gli infortunati vecchi: Cannes 70 visto da Piera Detassis

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Jasmine Trinca ha un abito meraviglioso arancio, nero con incrustation dicono qui di cristalli neri, bordeaux e scarpe altissimi rosse, tacco mille, strapiombi di bellezza per intervista e red carpet. Altro che Fortunata, dove indossa minigonne jeans e giacchettini da Torpignattara, con decolorazioni da spavento, e corre e corre così tamarra eppur così vivace e viva. Non è tanto piaciuto a una parte della critica, il film di Sergio Castellitto. Ce ne faremo una ragione. Qualcuno mi ha amichevolmente insultata. Echissene. A me, che ne riconosco il ruolo del tutto sfacciato da bombardiere di sentimenti, genti e luoghi, il romanzone popolare, soprattutto nella parte iniziale non è affatto dispiaciuto. Me lo son vista con soprassalti di risate e commozioni, come si dovrebbero vedere alcuni film di cui si sa l’intento e in cui gli attori fanno a gara. A scatenare la sfida interna Castellitto è abilissimo. Straordinario ad esempio Edoardo Pesce, incerto tra marito violento, abbandonato e sentimentale. Uno con la pistola in mano per mestiere. Un tipo italiano della periferia e della fatica di vivere.

In questa storia ormonale e disperata, non manca la vecchia, pardon l’anziana, come direbbe Alberto Sordi, Hanna Schygulla, stordita mamma del Chicano Alessandro Borghi (a sua volta stordito non dall’Alzheimer, ma da medicine, amori perduti e chissà cos’altro) che finirà affogata per troppo amore dal figlio nel Tevere. Assonanza con il film di Haneke, altra razza, altra stazza, ma anche altre incertezze che ne riducono le potenzialità facendone solo uno scandalo preannunciato programmatico. Nel finale il patriarca Jean Louis Trintignant (gigantesco), del tutto lucido di testa e un po’ satanico, ma assolutamente stufo, confessa di aver ammazzato la moglie anche lui per troppo amore e chiede a chiunque gli capiti sotto mano di aiutarlo a morire. Rifiuta il povero parrucchiere intimidito, dice sì (o quasi) la nipotina, (a tredici anni, anche lei ha già un torbido passato) lo spinge in carrozzella lungo lo scivolo che porta al mare e dove l’uomo, immobilizzato,  attenderà l’alta marea. Scena bellissima, ma non finisce qui e non è uno spoiler.
Happy End
Di sicuro i vecchi, la morte e infine il desiderio di terminare il proprio ciclo di vita prima che sia troppo tardi, è un tema che percorre la Croisette (lasciamo perdere il tentato suicidio di Godard nel tentato film Le redoutable di Hazanavicius), non è esente The Meyerowitz Stories, il riuscito film di Noah Baumbach, sempre lo stesso, ma con il pregio di mettere in campo attori da Oscar corale, da Adam Sandler (Dio ti ringraziamo per avergli trovato un buon film!) a Emma Thompson, da Ben Stiller alla meravigliosa Elisabeth Marvel. E soprattutto Dustin Hoffman patriarca ebreo a New York, scultore incattivito come tanti vecchi, anche lui reduce da malattie e andate e ritorni in corsia. Anche lui circondato dall’amore, qui confuso, non crudele come in Haneke, dei suoi cari (?).Bello , in tal senso, anche il progressivo ‘Addio’ suggerito dai medici nel protocollo per malati terminali.
The Meyerowitz Stories
Non è un paese per giovani? Il realtà Cannes, lo abbiamo già scritto, sembra filtrare ogni cosa attraverso lo sguardo puro dei ragazzini. Con l’eccezione di Eve, nome che non pare scelto a caso, quella tredicenne diabolica che nel film di Haneke osserva, sì, ma soprattutto agisce. Assomiglia più alla ragazzina spettro di Ring, che a una mocciosa in abitini scelti. Il terrore è nella cameretta.

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