Dadapolis: i registi e il cast raccontano il doc (e la Napoli) in anteprima alle Giornate degli Autori

Abbiamo parlato con Carlo Luglio e Fabio Gargano del film (dedicato alla memoria di Gaetano Di Vaio, Enzo Moscato e Cristian Vollaro). Con loro alcuni degli artisti coinvolti nel progetto: Cristina Donadio, Rosaria Iazzetta, Igor Esposito, Christian Leperino, Emanuele Valenti e Alberto Polo.

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«Nazione nel ventre della nazione»: così Pier Paolo Pasolini, nelle Ceneri di Gramsci, definiva Napoli, e il suo gusto per gli ossimori (anzi, sineciosi) ben si presta a descrivere la città partenopea come viene narrata (anche) a Venezia 81 dal doc Dadapolis di Carlo Luglio e Fabio Gargano, prodotto da Bronx Film (in co-produzione con Movies Event, in collaborazione con la Scuola di Cinema, Fotografia, Audiovisivo dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, con il contributo di Regione Campania – Film Commission Regione Campania), presentato alle Giornate degli Autori (nell’ambito del nuovo spazio Confronti) e ispirato, molto liberamente, all’antologia omonima di Fabrizia Ramondino e Andreas Fredrich Müller.

«In un primo momento volevamo fare un podcast radiofonico, poi Fabio ha suggerito un documentario», racconta Luglio che, insegnando all’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha avuto l’idea di coinvolgere nel progetto gli allievi «in un laboratorio en plein air, facendoli diventare anche parte della troupe, e così in tre mesi e mezzo abbiamo declinato una serie di domande e approfondimenti». Su cui vediamo misurarsi circa 60 artisti che vivono tra il capoluogo campano e l’estero, filmati in una sorta di grande simposio diffuso sulle trasformazioni della città, ma anche su questioni come lo scopo (e la mercificazione) dell’arte, la società consumista, il rapporto tra vita, morte e rinascita. «Ci siamo scritti due, tre sere prima gli argomenti su cui li volevamo far conversare e loro sono andati avanti a braccio», specifica Luglio.

Un’immagine del doc Dadapolis.

La struttura del doc, che segue poeticamente i quattro elementi naturali, s’ispira infatti «al concetto di citazione, di frammento, di polverizzazione che poi diventa un discorso unico», spiega Gargano. In questo discorso «Napoli è il simbolo del cambiamento in quanto investita da un turismo di massa che prima non faceva parte della cultura della città. Ma al di là dell’over-tourism, intorno a noi cambia qualcosa?».

Per l’attrice Cristina Donadio, tra i molti nomi del cast (che comprende anche il musicista James Senese, il drammaturgo e attore Peppe Lanzetta, l’attore Lino Musella, il writer Jorit e molti altri), tra le cose che sono mutate c’è il disincanto degli artisti che «oggi è velato di una sorta di malinconia, forse qualche anno fa erano più arrabbiati». Perché «è come se si fosse perso il senso archetipico di Napoli: è rimasta questa superficie che piace a tutti, ma è un po’ stereotipata, dove si mangia bene, tutti sono allegri, cantano e suonano. Poi però i turisti se ne vanno e noi rimaniamo, con le ombre e con le luci». Dalla costa napoletana, afferma Gargano, «tu percepisci sia l’abbandono che lo splendore. Perché la città è così, ha estreme bellezze e tristi abbandoni».

In questo caleidoscopio di contraddizioni, Dadapolis offre però un bell’esempio di coinvolgimento e aggregazione delle voci creative, molte delle quali presenti al Lido per condividere la loro esperienza del film. «Ho accettato l’invito perché era un invito di resistenza, e una resistenza interdisciplinare», rimarca ad esempio la scultrice Rosaria Iazzetta, soffermandosi anche sull’importanza di «aver coinvolto dei ragazzi». Facendo emergere, rileva Gargano, la prospettiva «puramente individualista» delle nuove generazioni di oggi «che crescono isolate e pertanto non hanno la capacità di mettere su un pensiero di unione e confronto».

Un nodo su cui si sofferma anche il rapper Alberto Polo: «Ricordo la Napoli degli anni ’90 in cui siamo cresciuti, dopo il drammatico decennio precedente col terremoto e l’invasione dell’eroina. Proprio perché non c’era niente, il centro abbandonato, si sentiva la necessità di confrontarsi, di riprendersi la città. Oggi i ragazzi non hanno più voglia di incontrarsi per scambiarsi delle idee, viviamo tutti sul nostro cellulare, e questo è l’inizio e la fine della nostra civiltà».

Lo scultore Christian Leperino pone invece l’accento sull’importanza degli spazi in cui è ambientato il documentario: «L’aver scelto luoghi non ovvi, come il porto, fa riscoprire un aspetto di Napoli nuovo, trasformandoli in spazi del desiderio. Spazi dove attraverso l’azione dell’arte si può rigenerare un flusso che probabilmente al centro è saturo».

L’attore e regista teatrale Emanuele Valenti elogia dal canto suo la «trasversalità» dell’approccio di Luglio e Gargano, per cui «artisti che vengono da esperienze diverse provano a interrogarsi su una città che in qualche modo richiede, per essere compresa o per lasciarsi ispirare, uno sguardo trasversale». E a proposito di teatro, il poeta e drammaturgo Igor Esposito ricorda anche l’influenza, per Dadapolis e non solo, di una figura come Enzo Moscato: «È stato l’ultimo cantore di Napoli». A lui, non per nulla, e ad altri due illustri talenti napoletani recentemente scomparsi, il produttore Gaetano Di Vaio e il cantautore di strada Cristian Vollaro, è dedicato il film.