Bif&st 2015: Slow West, il western che non ti aspetti

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Siamo nel 1870. Il sedicenne Jay (Kodi Smit-McPhee) arriva in Colorado dalla Scozia alla ricerca della ragazza che ama, fuggita in America con il padre. Il lungo e lento peregrinare del ragazzo nel selvaggio West (in realtà il film è stato girato in Nuova Zelanda) è accompagnato da un misterioso cavaliere solitario (Michael Fassbender), assoldato dal giovane per proteggerlo dai pericoli e dalle insidie di una terra violenta e spietata.

Questa la trama di Slow West, sorprendente esordio alla regia di John Maclean, studi artistici a Edimburgo e a Londra prima di fondare con una coppia di amici un gruppo musicale, The Beta Band (di cui ha realizzato molti dei videoclip) e di girare alcuni corti di successo, in particolare quel Pitch Black Heist con Michael Fassbender che gli è valso un premio Bafta.

Un western anticonvenzionale, dai toni surreali e onirici e di chiara matrice europea, imperniato su una storia d’amore e su un viaggio in cui, attraverso gli occhi del giovane protagonista, vediamo il selvaggio west all’epoca dell’arrivo e dell’insediamento degli emigrati nordeuropei.

Ecco cosa ci ha raccontato il regista nel corso di una conferenza stampa al Bif&st 2015, dove il film è stato proiettato in anteprima europea, in attesa di arrivare in sala il prossimo autunno distribuito da Bim.

John Maclean, regista di Slow West
John Maclean, regista di Slow West

Perché un film western nel 2015?

Da bambino mio padre mi portava sempre al cinema a vedere i film western, non i migliori in assoluto che ho poi visto nella vita, ma per me il cinema era il western. Quando poi ho visto C’era una volta il West di Sergio Leone le cose sono cambiate: sono rimasto talmente colpito e ammirato dalla straordinarietà del genere che ho cominciato a fare ricerche e a guardare molte altre pellicole western, migliori di quelle della mia infanzia. Il film che ho girato io, però, non ha un riferimento diretto col genere in sé, volevo crearlo io stesso. Per questo mentre lo giravo ho visto tanti altri lavori che col western non hanno nulla a che fare: opere di cineasti giapponesi, europei, francesi e italiani, proprio per evitare un omaggio diretto. È così che è nato Slow West.

Come mai si è scelto di girare in Nuova Zelanda?

Slow West è stato girato in pochi mesi, quando qui era inverno, in base alla disponibilità del mio amico Michael Fassbender, co-protagonista del film. Io volevo colori forti e un paesaggio da fiaba e rapidamente mutevole (in Colorado devi fare ore di macchina per cambiare panorama), così abbiamo scelto la Nuova Zelanda perché soddisfaceva questi requisiti e in più offriva una troupe già esperta per aver lavorato con Peter Jackson alle saghe de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli.

Un film non come luogo geografico, ma di pensiero…

La location può addirittura ostacolare la buona riuscita del film: se ci si concentra troppo sull’aspetto geografico e paesaggistico si rischia di perdere il contatto con la storia. Aver girato in Nuova Zelanda ha aggiunto quell’elemento favolistico, onirico e di realismo magico che è il mio genere preferito di film e quindi anche fonte d’ispirazione. È proprio questa dimensione di sogno che per me caratterizza il cinema.

L’epilogo sovverte gli schemi classici del genere

Anche questo ha a che fare con l’aspetto fiabesco di cui parlavo prima: un epilogo ispirato a Shining, in cui nel mio caso la morte di un personaggio, quasi un sacrificio, apre la strada a una nuova vita.

Michael Fassbender e Kodi Smit-McPhee
Michael Fassbender e Kodi Smit-McPhee

Si sente l’influenza di Peckinpah, in particolare de La ballata di Cable Hogue

Sì, nel modo di trattare la violenza: l’indugiare della telecamera non in modo compiaciuto, ma per esprimere una critica. Nel film di Peckinpah mi è piaciuta molto la modalità di affrontare un tema che ha un confine labile tra lo sfruttamento per logiche di spettacolo e il suo impiego per comunicare qualcosa.

Sergio Lorizio