IL CINEMA, LA VITA: 40 ANNI SENZA VITTORIO DE SICA

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«Ci sono due categorie di registi: quelli che possiedono l’abilità tecnica e formale, e quelli che fanno recitare bene gli attori. Io faccio parte di questa seconda categoria. Per me la tecnica dev’essere semplice, non voglio far percepire la macchina cinematografica: cerco di portare il pubblico nell’ambiente in cui i miei personaggi vivono ». Questa era l’idea di cinema di Vittorio De Sica, che il 13 novembre di quarant’anni fa si spegneva in una clinica in Francia, dov’era andato per tentare di curare un tumore ai polmoni. Il suo ultimo desiderio era stato quello di uscire dall’ospedale, mangiare del pesce e rivedere per un’ultima volta Ben Hur: l’addio degno ad una vita intera da uomo di spettacolo, in tutte le declinazioni immaginabili. De Sica è stato cantante, attore, sceneggiatore, regista da quattro Premi Oscar. È stato, soprattutto, un artista in perfetto equilibrio tra vocazione popolare e autorialità, vicinissimo tanto al pubblico “comune” che agli intellettuali del cinema.

De Sica, nato a Sora ma sempre legato alla sua infanzia napoletana, inizia come attore a teatro a nemmeno 18 anni, e poi a 26 nel cinema muto. Il successo arriva però negli anni ’30 con le commedie di Mario Camerini (Gli uomini che mascalzoni…, Il signor Max, I grandi magazzini) che fanno di lui uno dei primi grandi divi mondiali del cinema italiano. Nel frattempo debutta anche alla regia (inaugurando l’amicizia con Cesare Zavattini per I bambini ci guardano), ma è dopo la guerra che il mondo impara a conoscerlo come autore cruciale del Neorealismo: prima con Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948), entrambi da Oscar, e poi con l’indimenticabile Umberto D. (1952), De Sica allunga il suo sguardo sull’Italia del tempo. «Il mio scopo è di rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso della piccola cronaca, anzi della piccolissima cronaca, considerata dai più come materia consunta », dirà, come una sorta di dichiarazione di poetica. «Che cos’è infatti il furto di una bicicletta, tutta’altro che nuova e fiammante per giunta? Eppure a molti, che non possiedono altro, che la tendono come l’unico sostegno nel vortice della vita cittadina, la perdita della bicicletta è un avvenimento importante, tragico, catastrofico. Perché pescare avventure straordinarie, quando ciò che passa sotto I nostri occhi è così pieno di una reale angoscia? ». Per lui, insomma, il realismo al cinema non è la ricerca di un semplice documento, ma l’espressione di una sensibilità personale verso i dettagli della vita. Lo stesso approccio vale per i tanti caratteri che porta sullo schermo da attore, in commedia come nei film drammatici, spesso considerati “maschere italiane” ma, in realtà, densi di un’umanità singolare e mai stereotipata: primo fra tutti il maresciallo Carotenuto della serie di film di Pane, amore e… diretti da Comencini prima e Risi poi, ma anche il conte Prospero del suo L’oro di Napoli, il Conte Max, il maresciallo Cotone di I due marescialli con Totò, l’indimenticabile Generale Della Rovere del film di Rossellini.

Per il suo piglio popolare qualcuno, soprattutto agli inizi, l’ha considerato un regista piuttosto naïf. De Sica invece era un concentrato di stimoli culturali: Carlo Lizzani ricordava spesso quanto De Sica amasse soprattutto la pittura, da Morandi a De Chirico. E fu il regista italiano più premiato dall’Academy: dopo Sciuscià e Ladri di biciclette, vinse l’Oscar anche per Ieri, oggi, domani (1963) e Il giardino dei Finzi Contini (1970), forse uno dei suoi film più formali. Ma considerava un po’ suo anche il Premio Oscar come miglior attrice a Sophia Loren per La ciociara: agli attori dava tutto quando stava dietro la macchina da presa, e si donava con la stessa generosità quando veniva diretto da altri registi. Ritroverà l’amata Sophia anche per la sua ultima opera, Il viaggio, affiancandole Richard Burton, un film malinconico immerso nella Sicilia di inizio Novecento, che oggi appare come un congedo. Dalla vita, forse, ma non dal cinema, dentro il quale De Sica continua a regalarci intatta la sua indimenticabile risata.

Elisa Grando