Storia della Mostra del Cinema di Venezia. Gli anni ’50

Per il suo novantesimo anniversario, ripercorriamo la storia della Mostra del Cinema di Venezia, sulla scorta del volume di Gian Piero Brunetta La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1932-2022 (Marsilio – La Biennale di Venezia).

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La guerra è finita, l’Italia è una Repubblica nata dai valori della Resistenza contro il nazifascismo, tutto è cambiato… ma forse non troppo. Per la Mostra del Cinema di Venezia, che riparte nel 1946 diretta da Elio Zorzi (resterà fino al 1948), la sfida è ancora quella di difendere il proprio margine di autonomia dalle ingerenze del potere politico. La Democrazia Cristiana, che vince le elezioni del ’48 e guiderà per oltre un cinquantennio il Paese, non modifica lo Statuto della Biennale del 1938, che fa dipendere l’ente dal governo centrale.

I direttori degli anni ’50 (dopo Zorzi verranno Antonio Petrucci, Ottavio Croze e Floris Luigi Ammannati) dovranno dunque destreggiarsi tra equilibri che l’inizio della Guerra Fredda fa particolarmente delicati (assenti dal 1948 al 1953 i film sovietici), col costante timore di uno spostamento del Festival a Roma. Tra i momenti critici, il ritiro degli urticanti Il canto del gallo, Il seme della violenza e Jan Hus dal concorso del 1955 e le proteste cattoliche per l’ammissione nel 1958 dello “scandaloso” Gli amanti di Louis Malle.

Ciò non impedisce alla Mostra di rilanciarsi e riguadagnare centralità nell’immaginario. Merito anche del critico e componente della Commissione selezionatrice della Mostra Francesco Pasinetti (scomparso nel 1949). Momento chiave l’edizione del 1947, nel Palazzo Ducale di Piazza San Marco (dall’anno dopo si tornerà al Lido), definita da Callisto Cosulich l’evento «più importante che la manifestazione abbia vissuto dalla fondazione alla fine del Novecento». Vi si ritrova, scrive Gian Piero Brunetta (nel suo libro La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 1932-2022), «quell’aria d’incrocio e dialogo cosmopolita di culture che la guerra aveva interrotto». E nel 1950 il Lido diventa un centro della nuova “Dolce Vita” italiana, con un numero di star senza precedenti, fra cui Ingrid Bergman, Barbara Stanwyck, Vittorio De Sica e Roberto Rossellini.

Tornano anche le polemiche: tra le altre cose, per la sottovalutazione dei capolavori neorealisti, da Paisà (1946) di Rossellini a La terra trema (1948) di Luchino Visconti, cui la giuria preferisce rispettivamente L’uomo del sud di Jean Renoir e l’Amleto di Laurence Olivier. Il nostro miglior cinema avrà la sua rivincita nel 1959, col doppio Leone d’oro a La grande guerra di Monicelli e al Generale Della Rovere di Rossellini. Ma al Lido Visconti continuerà ad essere sinonimo di accese dispute tra estetica e politica, in particolare con una delle premiazioni più incandescenti che la Mostra ricordi, quella del 1954, dove il Giulietta e Romeo di Renato Castellani ottiene il Leone d’oro e Senso è ignorato dai riconoscimenti.

In questi anni, però, la scena veneziana se la prendono anche, meritatamente, alcune grandi cinematografie dal mondo, come la giapponese (con Rashomon di Akira Kurosawa che nel 1951 batte Un tram che si chiama desiderio), la scandinava (Ordet di Carlo Theodor Dreyer, Leone d’oro nel ’55, Il volto di Ingmar Bergman, Premio speciale della giuria nel ’59) e l’indiana (Aparajito di Satyajit Ray, 1957). Tanta miopia verso Alfred Hitchcock, che apre nel ’54 con uno dei suoi capolavori, La finestra sul cortile, definito «stupido» e «grottesco» dal critico americano Weinberg.

Esordiscono e si fanno conoscere futuri maestri come Stanley Kubrick, che debutta nel 1952 con The Shape of Fear (poi Paura e desiderio) e Federico Fellini, nello stesso anno con Lo sceicco bianco, poi con I vitelloni e nel ’54 con La strada, Leone d’argento. Tra i grandi rimpianti dell’epoca, invece, non aver avuto Charlie Chaplin e le sue Luci della ribalta per il ventennale della Mostra nel ’52, un tentativo per cui si spese invano anche Vittorio De Sica.