“RACE – IL COLORE DELLA VITTORIA”: INTERVISTA A FEDERICO BUFFA, STEPHAN JAMES E FIONA MAY

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Da giovedì 31 marzo sarà al cinema Race – Il colore della vittoria, che racconta il mito di Jesse Owens e delle Olimpiadi di Berlino del 1936

roundtableQuelle che racconta Federico Buffa non sono storie di sport come le altre. Sono veri e propri racconti popolari – di uomini, prima che di sportivi – che attraversano un periodo storico e politico, e che assumono un significato che lega lo sport allo spirito di quel tempo. Non è un caso che Buffa abbia preso parte alla versione italiana di Race – Il colore della vittoria nelle sorprendenti vesti di doppiatore: lui, che ha portato per i teatri di tutta Italia uno spettacolo necessario su Jesse Owens e le Olimpiadi di Berlino del 1936, è anche un cinefilo raffinato, che si dichiara amante del Sundance e del cinema coreano. Cinema e sport s’intrecciano, inevitabilmente. E così, l’uscita nelle sale italiane di Race non poteva avere testimonial migliori: non solo il magnifico storyteller di Sky, ma anche Fiona May, la campionessa italiana del salto in lungo vincitrice di due Mondiali nel 1995 e nel 2001, e l’attore protagonista Stephan James, credibile e convincente Jesse Owens del film di Stephen Hopkins.

Federico, come ti sei avvicinato all’esperienza da doppiatore in Race? Noi ti conosciamo come grande narratore di sport. Quali sono invece le tue passioni cinefile?

Buffa: Il cinema è da sempre una delle mie grandi passioni. Quella di Race è un’opportunità incredibile che mi hanno dato, ammetto che non so bene perché mi abbiano chiamato. Poter doppiare con Alessandro Rossi è stata un’esperienza impressionante. Alessandro è il principe del doppiaggio: mi ha letteralmente portato in due ore a cercare di entrare nel personaggio di uno speaker degli anni Trenta, dovendo quindi utilizzare un’enfasi diversa nella cronaca. Il film si lascia guardare davvero bene, avvicinerà alla storia di Owens tanti giovani. Io sono un uomo da cinque – sei film a settimana. Se dovessi dirti che cosa mi piace oggi e che cosa guardo di più è senz’altro il cinema coreano. Il Far East Festival è un’ottima vetrina: quello è il cinema più in crescita.

james e buffaStephan, come hai ottenuto la parte? Che cosa ti porti dentro della figura di Owens?

James: Ho fatto il provino per la parte, come immagino molti altri giovani attori di colore in giro per l’America. Il mio obiettivo era catturare l’essenza di Jesse Owens, un personaggio larger than life. Lavorando su di lui, ho scoperto che il lato più significativo di Jesse è quello umano: un padre e un marito amorevole, un atleta dallo spirito umanitario che ha cercato di ispirare le persone con la sua storia personale. Mi ha stupito come sia riuscito a sopportare il peso della situazione storica degli anni Trenta.

Federico, le vicende delle Olimpiadi di Berlino del 1936 dove si collocano a livello di importanza per il mondo?

Buffa:  Nelle Olimpiadi di Berlino del 1936 c’è la perdita totale della verginità dello sport. Berlino ’36 è una kermesse con un fine diverso da quello sportivo, o almeno non ha un fine soltanto sportivo: ci sono decine di legami tra quelle Olimpiadi e la nostra vita quotidiana. Quello che mi ha colpito di più – se guardiamo le fotografie – è che i premiati non hanno soltanto l’alloro e la medaglia olimpica ma anche qualcos’altro in mano: una piccola quercia che non è spiegabile oggi se non con il legame che i tedeschi del ’36 avevano riallacciato con il loro paganesimo originale. Ho visto fotografie e sentito i racconti dei nipoti degli atleti italiani premiati in quell’edizione che hanno piantato quelle querce e mi hanno confessato: “questa è la quercia del nonno”. Questo è il principio che Goebbels ha voluto dare a quelle Olimpiadi: qualcosa che rimanesse nel tempo oltre l’evento sportivo, qualcosa che sopravvivesse agli uomini. Hitler aveva già commissionato a Speer, l’architetto del Reich, la costruzione di uno stadio da 450.000 posti perché aveva immaginato che a Berlino si sarebbero svolte tutte le Olimpiadi da lì a venire. E’ evidente che a quel punto lo sport prende una nuova direzione.

Stephan James, Fiona May, Federico BuffaStephan, quale aspetto hai trovato maggiormente complicato nell’immedesimazione con Owens?

James: La parte atletica è stata impegnativa, ho dovuto fare diversi sacrifici, allenandomi intensamente. Ho maturato così un infinito rispetto per chi ha fatto dell’atletica una professione. La responsabilità è stata doppia: non solo quella sportiva, ma anche per l’importanza storica della figura di Owens. Oltretutto, mi sono dovuto preparare mentre giravo Selma, allenandomi a correre tra un set e l’altro di quel film.

Fiona, quelle delle Olimpiadi del ’36 sono state il punto più grave di razzismo a livello istituzionale. Quanto sono cambiate secondo te le cose da allora?

May: Jesse Owens è stato il primo atleta a poter vincere e a ottenere il massimo traguardo per un atleta, la medaglia d’oro alle Olimpiadi. Le cose sono cambiate: all’epoca c’era ancora la segregazione razziale, oggi il razzismo è più discreto. Il significato del film era valido all’epoca, è valido oggi, speriamo che non lo sia più nel futuro perché tutti i pregiudizi saranno stati finalmente superati.

Federico, ci sono eventi sportivi successivi alle Olimpiadi del ’36 che si possono avvicinare come importanza storica?

Buffa: Un evento comparabile alle Olimpiadi del ’36 non c’è più stato: Goebbels ruba l’idea a Mussolini. Fu Mussolini il primo a concepire nel ’34 che un evento sportivo potesse assumere i connotati di una propaganda politica. Non è possibile che il genere umano ritorni a questo punto, e per fortuna non è successo. Le Olimpiadi del ’36 sono così emozionanti perché le vicende umane sconfiggono le vicende politiche. Ci sono vicende umane irripetibili che hanno coinvolto gli atleti che ne hanno preso parte.

Fiona, quale atleta degli ultimi vent’anni può essere accostato a livello iconico alla figura di Jesse Owens?

May: Carl Lewis e Usain Bolt, senza dubbio, oltre agli atleti africani emersi nelle diverse discipline. Bolt, in particolare, è un vero e proprio simbolo di una piccola nazione come la Giamaica ed è rimasto fedele a essa, vivendo nel suo Paese, allenandosi nel suo Paese, mantenendo un legame totalizzante con la sua terra. Non c’è più uno scontro netto tra il Bene e il Male come nel ’36, ma possono esserci vicende personali come quella di Wilma Rudolph nelle Olimpiadi del 1960, malata di poliomielite da piccola e costretta ogni due giorni a cure specifiche. Oppure, possono esserci confronti tra grandi risorse e piccoli movimenti: la rivalità tra Stati Uniti e Giamaica nell’atletica leggera è un chiaro esempio.

Stephan, secondo te il film può avere un significato politico alla luce delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti?

James: Ci saranno sempre persone con un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle razze. Donald Trump sta attirando su di sé il consenso di chi ha sempre avuto questo tipo di idee ma le nascondeva. Quello che trovo positivo, invece, è il fatto che ci siano persone che si impegnano per opporsi a una mentalità razzista. Per questo, l’esempio di Jesse Owens è ancora importante e necessario, ed è vivo.

Emiliano Dal Toso