ROMAFF10: “MISTRESS AMERICA”, L’ELOGIO DEL FALLIMENTO

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Una commedia fresca e “leggera” sulle difficoltà esistenziali di due (quasi) sorelle. Mistress America, presentato alla Festa del Cinema di Roma, conferma l’alchimia vibrante di Noah Baumbach e Greta Gerwing.

Mistress AmericaLa vita è difficile, ma la vita al college può esserlo molto di più. Specie se sei una matricola al tuo primissimo anno che, da una cittadina qualunque degli Stati Uniti, si ritrova catapultata a New York, la città delle possibilità, capace anche, però, di farti sentire isolato da tutto. E Tracy (Lola Kirke), aspirante scrittrice smarrita tra i corridoi di un dormitorio femminile al suo primo semestre universitario, si sente esattamente così. «Come quando vai ad una festa e non conosci nessuno »Â confida alla madre, a pochi giorni dal suo secondo matrimonio con un uomo incontrato virtualmente su un sito per incontri e padre di Brooke (Greta Gerwing), trentenne – apparentemente – realizzata di stanza proprio a New York. Così, su consiglio materno, Tracy decide di chiamare la (quasi) sorella per fare la sua conoscenza prima del grande giorno dei loro rispettivi genitori. Brooke, la vulcanica ed egocentrica Brooke, spalanca a “Baby Tracy” un mondo eccitante e vertiginoso grazie al quale trova l’ispirazione letteraria ed un pizzico in più di fiducia in se stessa. Ma, se si soffia via quella patina fatta di sicurezza e competenza, non resta altro che una ragazza in bilico, pronta a sbriciolarsi da un momento all’altro.

mistress americaMistress America, terza collaborazione per la coppia Baumbach/Gerwig, dopo Lo stravagante mondo di Greenberg e Frances Ha, non fa che confermare l’alchimia tra i due. Una sceneggiatura verbosa, ritmica, nella quale si ritrovano molti dei temi cari al cinema del regista, recentemente protagonista a Venezia72 con De Palma, il documentario realizzato insieme a Jack Paltrow. Le due figure femminili, apparentemente diversissime, sono accomunate dalla medesima “malattia”, quell’incapacità di capire chi si è e quale direzione far prendere alla propria vita. Una malattia, a ben vedere, della quale abbiamo sofferto o soffriamo un po’ tutti e che permette allo spettatore di specchiarsi nella tenera insicurezza di Tracy o nel terrore di Brooke di fermarsi un secondo, perché quella pausa potrebbe lasciarla sola con i suoi pensieri, le sue paure. Ed è meglio sentire il frastuono piuttosto che il silenzio di una verità. La fotografia di Sam Levy fa letteralmente brillare New York di una luce fatta di riflessi colorati, al neon, che si sposano perfettamente alle musiche, da Dream Baby Dream dei Suicide a No More Lonely Nights di Paul McCartney, dal retrogusto sospeso. Una città meno presente rispetto a Frances Ha, film nel quale aveva un ruolo da vera e propria coprotagonista. Giocando con le citazioni che si muovono tra Woody Allen e l’amata Nouvelle Vague, Mistress America, deve molto alle due protagoniste, un’isterica Gerwig e una “morbida” Kirke (l’oboista Hailey della bellissima serie HBO, Mozart in The Jungle), un duetto fatto di battute, complicità e gioco di toni. Tra scale antincendio usate come passaggi segreti, circoli letterari snob e “donne incinta intelligentissime”, Mistress America, è una commedia fresca e luminosa, scritta con una leggerezza di cuore ma non di contenuti.

 

Manuela Santacatterina