ROMAFF10: “THE PROPAGANDA GAME”, LA PARTE PIÙ OSCURA DEL MONDO

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«La Corea del Nord? Per dieci giorni ho creduto anche io che fosse un posto quasi normale ». In The Propaganda Game andiamo a scoprire, insieme al regista Alvaro Longoria, una delle parti più oscure del pianeta

The Propaganda Game«Se la Corea del Nord minaccia ritorsioni per un film satirico, pensate cosa possono fare se esce fuori un documentario scomodo ». L’opera in questione è, ovviamente, The Interview (ricorderete la spinosa questione che legava l’uscita di questo titolo allo sberleffo che fa a Pyongyang, il tutto legato dalle mail Sony trapelate dopo un attacco hacker?), mentre la frase è stata pronunciata da Barack Obama, all’indomani dell’attacco che avrebbe scaturito il noto tumulto. Bene, il film poi in sala c’è arrivato, è rintracciabile su diversi portali on demand e, in Italia, è stato trasmesso da Sky Cinema, oltre che essere disponibile in Home video. Chissà però che destino attende quel documentario predetto dal Presidente degli USA. Perché, presentato alla Festa del Cinema di Roma, il noto documentarista spagnolo Alvaro Longoria ha scritto e diretto, prodotto poi dall’iberica Morena Films, The Propaganda Game, che in un’ora e mezza mostra (incredibilmente) diversi aspetti del regime, direttamente dall’inaccessibile territorio e per mezzo di una (nemmeno poi tanto) discreta telecamera. Il coraggioso regista, possiamo dirlo, ci porta così tra il grigio e i colori pastello del Nord Corea, dove tutto sembra immobile, rarefatto e sì, finto. Palesemente finto.

The Propaganda Game«La Propaganda funzione benissimo », ci ha detto Longoria, «Tutta la popolazione sa benissimo quello che deve fare, dalla mattina alla sera. La Corea del Nord è davvero molto difficile da decifrare. Io ci sono stato dieci giorni e, inizialmente, mi consideravano una specie di diavolo, solo poi si sono leggermente ammorbiditi. Lì non puoi essere un dissidente, altrimenti non avrai nulla: né casa, né lavoro. Nulla ». La base del documentario, è proprio questa: rendere l’idea, allo spettatore curioso e, in qualche modo affascinato da cotanto mistero, di cosa si nasconde dietro l’inavvicinabile muro, di cosa ci sia oltre la propaganda, quasi assurda, quasi cinematografica, ma del tutto studiata a tavolino. Come, per esempio, le strutture turchesi della ”Zona Demilitarizzata” («Che non è per niente demilitarizzata, anzi. Un colpo partito per sbaglio può far scoppiare una guerra », ha osservato il regista), ossia l’unico varco ”aperto” verso la Corea del Sud. Il bello di The Propaganda Game, tra l’altro, è che non cade nell’ovvietà di indagare sulla vita o sul pensiero dell’idolatrato – ed è dire poco – leader Kim Jong-un, ma espande lo sguardo all’intera nazione. Longoria si fa guidare nel documentario nientemeno che da uno spagnolo diventato per sua scelta un nordcoreano. Ha 38 anni e si chiama Alejandro Cao de Benos. In Nord Corea è una celebrità (ma è detestato dai mass media mondiali) ed è l’unica persona extra-comunitaria a lavorare per il regime. L’unica. Alejandro, oltre fare da ”indirizzata” guida al suo (vero) compatriota, nelle parole, rispecchia profondamente la visione di Pyongyang, ovvero: è l’Occidente che fa propaganda contro di noi inventando strane storie. Qui si difende solo il nostro territorio e il nostro sistema. Sono gli USA che ci hanno invaso nel 1953, è scritto sui libri di storia. In Nord Corea nessuno ci obbliga a credere nel sistema, tra l’altro. Ci sono pure le chiese cattoliche! Tant’è, che nel documentario Alvaro Longoria testimonia, facendocela vedere, proprio una chiesa. Peccato che al suo interno, nonostante i fedeli che cantano senza stonare una nota e le croci appese, non ci sia un prete: «Siamo arrivati in quella chiesa dopo tante trattative. Ma ho scoperto che era una specie di set, alla fine », ha dichiarato l’autore.

The Propaganda Game«Ho fatto vedere il mio documentario alle autorità: la reazione non è stata affatto ostile, anzi. Erano contenti che io abbia fatto vedere coreani che mangiavano il gelato ». Infatti The Propaganda Game, al contrario di ciò che si può pensare, è estremamente contraddittorio, perché a sentire le due campane – ci sono molte interviste: storici, giornalisti USA, responsabili di Amnesty e civili nordcoreani – la verità sembra stare nel mezzo. Però, magari, ascoltando le testimonianze di chi è riuscito a fuggire dalla parte più oscura del mondo, la verità viene sensibilmente spostata. Ed ecco che la propaganda, ancora una volta, ha funzionato. In barba al Capitalismo.

Damiano Panattoni