VENEZIA 72: “NON ESSERE CATTIVO”, L’ULTIMO ATTO DI CLAUDIO CALIGARI

Non Essere Cattivo, l'ultimo film di Claudio Caligari, il regista di Amore Tossico e L'odore della notte, presentato fuori concorso a Venezia 72, ci porta tra le borgate di Roma, fatte di spaccio e miseria, per fotografare l'atto conclusivo della sua ideale trilogia cinematografica.

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È tornato a Venezia Claudio Caligari. In quello stesso Festival dove, nel 1983, aveva presentato, tra scandali e consensi Amore Tossico e quindici anni dopo L’odore della notte, due ritratti dolorosi e sinceri della Roma delle borgate, tra droga e criminalità, ironia e brevi quanto intensi momenti di dolcezza. Un lungo e commosso applauso ha accompagnato i titoli di coda della proiezione veneziana di Non Essere Cattivo, il suo ultimo film, l’atto conclusivo di un percorso che dall’Accattone pasoliniano, Cristo proletario della Roma del dopoguerra, passa per i ragazzi di vita di Amore Tossico e arriva fino ai due fratelli di strada, Cesare (Luca Marinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi), per mostrarci la fine e, al tempo stesso, il fallimento di un’era, di un pensiero di riscatto che passa attraverso il lavoro. «Il dolore e la gioia di questi giorni è che adesso che c’è il film, adesso che tutti stanno cominciando ad amare Cesare e Vittorio come li abbiamo amati noi, Claudio non è più qui» racconta commossa Francesca Serafini, co-sceneggiatrice insieme a Giordano Meacci e allo stesso regista di Non Essere Cattivo.

Tralasciando le polemiche del fuori concorso e i facili sentimentalismi da red carpet dovuti alla sua recente scomparsa, Caligari, ha firmato un film potente, vibrante, autentico, grazie anche alla testardaggine dell’amico Valerio Mastandrea, dove non c’è spazio per il superfluo (il montaggio di Mauro Bonanni è asciutto, quasi episodico) e ogni sequenza è necessaria, costringendo lo spettatore ad una scomodità emotiva data da una storia dove non ci sono vincitori ma alla quale il regista affida un’ultima, possibile speranza. «Claudio durante la scrittura insisteva perché si rimanesse sui due protagonisti. Ogni divagazione l’avvertiva come un fastidio» precisa la Serafini.

Esteticamente agli antipodi con la Roma de La Grande Bellezza, con la quale condivide semmai solo bustine di cocaina, Non Essere Cattivo è un film scritto e girato per arrivare a tutti gli spettatori, dove la lingua è aderente e coerente con il contesto sociale nel quale i personaggi si muovono, e dove il regista inserisce citazioni cinematografiche raffinate ed ironiche (da I Vitelloni ad Amore Tossico). «Claudio ci ha lasciato scrivere le scene dei dialoghi per una doppia ragione, perché siamo linguisti e madrelingua romani. Il lavoro quindi è stato doppio, da una parte dovevamo dargli una patina di antico dato che il film è ambientato nel 1995, stando molto attenti a non lasciare anacronismi, e poi abbiamo lavorato perché fossero verosimili, facendo attenzione a limitare gli eccessi perché Claudio voleva che il film fosse capito da tutti».

Diviso visivamente in due sezioni, con una prima parte prevalentemente notturna, illuminata da luci al neon, e una seconda, invece, girata alla luce del sole, dove i colori sono tenui, quasi velati grazie alla fotografia di Maurizio Calvesi, Non Essere Cattivo mostra, attraverso la storia d’amicizia che lega i suoi protagonisti (due attori, Marinelli e Borghi, eccezionali e commoventi ai quali si aggiungono le altrettanto intense Silvia D’Amico e Roberta Mattei), la Roma della cocaina e delle droghe sintetiche, tra spaccio, borgata, AIDS e piccola criminalità e la inserisce in un contesto storico, il 1995, che di là a poco avrebbe cambiato il nostro Paese con una nuova stagione politica alle porte (tristemente attuale tra arresti e commissariamenti). Il regista filma così un fallimento sociale, la morte di Accattone, è lo fa mostrandoci il mondo del lavoro in borgata che quasi invita ad essere cattivi, aggressivi, pur di sopravvivere, nonostante i tentativi maldestri e disperati di Cesare e Vittorio, il riflusso aspro di una generazione, disilluso come le note del sax che li accompagnano nella loro corsa verso lo schianto.

«C’è un’immagine che racchiude quello che è successo attorno a questo film e racconta Claudio» conclude emozionata Francesca Serafini. «Sono stata per un mese al mare e davanti alla terrazza avevo solo piante di agape. La sua storia è particolare. È una pianta grassa, con una base ruvida, proprio come Claudio. Le sue foglie hanno delle spine enormi. Poco prima di morire, fiorisce per la prima e unica volta. In quella fioritura sparge i semi e io ne ero ossessionata tanto da raccontare a chiunque la sua storia. Solo a Venezia mi sono resa conto che quell’ossessione per l’agape era perché quella pianta mi stava raccontando Claudio. Uno resistente, coriaceo ma con una dolcezza all’interno che proteggeva con le spine e che, appena ha avuto la fioritura che aspettava da una vita, è morto. Però nel morire l’agape sparge altri semi e spero che noi saremo in grado di raccogliergli e far germinare altre piante». Lo stesso seme di speranza e di futuro con il quale Claudio Caligari ha chiuso il suo ultimo film.

Manuela Santacatterina