INTERVISTA A VINCENZO AMATO, IL SICILIANO D’AMERICA CHE PASSA DALLA JOLIE A FICARRA E PICONE

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In L’ora legale, il nuovo film di Ficarra e Picone, Vincenzo Amato è un sindaco tutto d’un pezzo che simboleggia quella legalità tanto invocata dagli italiani e poi, spesso, mal sopportata. Quando si parla del nostro Paese, Amato ha un punto di vista particolare: vive negli Stati Uniti da 23 anni, ha cominciato a fare l’attore a New York con Emanuele Crialese che l’ha reso famoso con Respiro e Nuovomondo, e poi ha lavorato con Liliana Cavani nel film tv Einstein, in Unbroken di Angelina Jolie, e in parti minori in una lunga sfilza di serie tv, da Gossip Girl a Boardwalk Empire. Lavorare in Italia, però, lo entusiasma sempre, in particolare con Ficarra e Picone: «L’ora legale è il più comico dei loro film, e nello stesso tempo ci infilano la sfida di prendere in giro per la prima volta non i politici, ma gli elettori».

Amato, ci racconta il suo personaggio, il sindaco Natoli?

È uno che applica la legalità, vede la città come se fosse casa sua: allo stesso modo in cui si tiene la propria casa in ordine, anche tutto il resto della città deve essere così. Il difetto degli italiani è proprio questo: la casa è uno specchio, ma quello che sta fuori non lo consideriamo nostro. Come si vede nel film non basta un bravo politico: tocca a ognuno avere senso civico.

Si è ispirato a qualche politico in particolare?

No, mi sono ispirato a mio padre, a Gesù e a San Francesco. Non come mania di grandezza, ma per un sentimento interno, una ricerca di semplicità, di giustizia e di purezza. Mio padre è una persona onesta che mi è sempre stata d’esempio, ha vissuto tutta la vita a Palermo, non ha mai chiesto favori e ha sempre rispettato le regole.

Com’è l’Italia vista dall’America?

Da quando vivo all’estero sono diventato ancora più siciliano e più italiano. Ho avuto la stessa sensazione che hanno gli astronauti quando vedono la Terra dallo spazio: quando poi torni indietro riesci a vedere le cose in modo oggettivo. L’Italia mi manca molto, stando lontano e non avendo a che fare ogni giorno coi suoi aspetti negativi mi ricordo solo le cose belle.

Lei non è uno di quegli attori che ha cercato fortuna in America, anzi, ha cominciato a recitare quando viveva già lì…

Sono andato in America nel 1993 al matrimonio di un amico. Siccome io sono anche scultore, ho deciso di fermarmi lì e lavorare come fabbro. Un anno dopo ho conosciuto Emanuele Crialese, eravamo vicini di casa, e lui mi ha proposto di recitare in Once We Were Strangers. È stata una fortuna perché da subito non ho avuto più bisogno di fare provini.

Con Angelina Jolie, però, ne ha fatti tre: com’è stato lavorare con lei?

Una fantastica esperienza: sono sempre fortunato soprattutto con le registe donne. La Jolie è una persona deliziosa, senza nessuna vanità, premurosa, mai diva, anzi modesta, lavoratrice e molto brava a dirigere gli attori. È stato come lavorare con uno della mia famiglia.

E come si è trovato con Ficarra e Picone?

Benissimo: ho scoperto che sono non solo dei comici famosi per le commedie popolari, ma anche due artisti di grande talento, tra i più talentuosi che ho conosciuto a livello di gusto, di scelte. Come registi si dannano, possono fare venti ciak per un’apertura di porta. Del resto, come dicono proprio loro: fare ridere è una cosa seria. In Italia si distingue tra chi fa il buffone e chi l’intelligente: il loro genio invece è proprio fare un film intelligente e anche leggero. Perché nell’esistenza umana c’è tragedia e follia.

Dove la vedremo prossimamente?

La cosa buffa è che ultimamente ho lavorato con quattro registi tutti palermitani: oltre al film di Ficarra e Picone, ho finito le riprese di Sicilia Ghost Story, il nuovo lavoro di Antonio Piazza e Fabio Grasssadonia. Interpreto il padre della protagonista, una ragazzina di dodici anni, in una storia magica che si svolge in un paese immaginario della Sicilia e fra i boschi.

Da poco, nei boschi, si è trasferito anche lei: perché?

Ho vissuto sempre in città caotiche, Palermo, Roma e New York. Adesso ho delle bambine piccole e quindi non vivo più la città dei caffè letterari, vado a letto presto. Mi sono detto: cosa ci sto a fare in una situazione cittadina? Mi becco solo il traffico. Quindi sono andato in New Jersey, vicino a una montagna. Ma è mezz’ora da New York.

Elisa Grando

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