La rinascita di Mel Gibson, verso gli Oscar dopo la crisi

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Mel Gibson will smith

Antisemita. Razzista. Misogino. Violento. Alcolista. Dov’eravamo rimasti? A quell’estate di dieci anni fa, era il 28 luglio 2006, quando Mel Gibson venne fermato dalla polizia di Los Angeles e disse l’ormai celebre frase: «The Jews are responsible for all the wars in the world». Non bastasse, qualche anno dopo arrivarono le minacce al telefono alla compagna, Oksana Grigorieva, registrate e postate sul web poco prima di una lunga battaglia legale. Una carriera praticamente finita, con pochi film girati (su tutti un capolavoro dimenticato: Mr. Beaver di Jodie Foster), qualche cacciata clamorosa (dal set de Una notte da leoni 2) e i grandi Studios pronti a voltargli le spalle.

Sembrava il capolinea, ma era solo una delle ennesime tappe di una montagna russa chiamata Gibson, pronto a rinascere a sessant’anni. «Quello fu un incidente. Avevo bevuto otto tequila doppi, dissi quelle frasi alla polizia in preda alla rabbia. Ma fa parte del passato, e non trovo giusto che la mia intera carriera venga segnata da un episodio». Barba lunga da predicatore biblico, sguardo attento e fisico ancora tonico, quando incontriamo Gibson al Danieli di Venezia appare particolarmente fiero del lavoro fatto su La battaglia di Hacksaw Ridge, ritorno alla regia a dieci anni – non a caso – da Apocalypto e storia di redenzione – non a caso – di Desmond Doss (Andrew Garfield), primo obiettore di coscienza dell’esercito americano che a Okinawa si rifiutò di imbracciare le armi. Un altro irregolare, un maverick, come lo erano stati William Wallace in Braveheart, l’insegnante de L’uomo senza volto, perfino Cristo in The Passion. «Perché? Perché credo che tutti noi siamo affascinati da queste figure, da quelli che scelgono percorsi diversi, difficili, contro l’opinione comune», riflette Gibson, tormentandosi la barba.

«Doss rinunciò alle armi, ma decise comunque di andare dove infuriava la battaglia. Il film parla di un uomo comune che compie qualcosa di straordinario, armato di nulla se non della propria determinazione e della propria fede». E se la vera storia di Doss è incredibile, così ora sta diventando quella del figliol prodigo Mel, ora non più il reietto di Hollywood, anzi, capace proprio con La battaglia di Hacksaw Ridge di incassare 160 milioni di dollari e finire candidato a Golden Globe, Bafta e SAG. «Com’è oggi il mio rapporto con Hollywood? Penso come quello di tutti i registi: pura sopravvivenza», ghigna lui, che ammette di essersi ripulito, di essere una persona differente, anche se rimane l’ombra del sedevacantismo, come papà Hutter Gibson, ovvero la corrente degli ultratradizionalisti cattolici che (addirittura) riconoscerebbero come ultimo papa Pio XII e poi più nulla, troppo moderni quelli dopo il Concilio Vaticano II. E, ancora, non è un caso che ne La battaglia di Hacksaw Ridge la religione sia un aspetto centrale, con Doss trasformato in una sorta di Cristo moderno costretto a umiliazioni e botte dai propri commilitoni prima di immolarsi a Okinawa salvando più di settanta soldati.

«Un film sulla fede? Certamente. E la fede di Doss è stata fonte di grande ispirazione per me durante le riprese, ho amato molto girare questo film, andare sul set giorno dopo giorno, osservare Andrew riportare in vita quell’uomo. Un’esperienza toccante e importante che può insegnare molto, soprattutto oggi che viviamo tempi tanto difficili». Così, l’uomo che quella sera di luglio disse che «gli ebrei sono i responsabili di tutte le guerre che combattiamo oggi» ha voluto come protagonista del suo nuovo film proprio un attore ebreo, Andrew Garfield, il cui nonno fuggì dalla Polonia in Inghilterra e che qualche settimana fa, durante un’intervista a Jimmy Kimmel ha ammesso di non avere avuto alcun imbarazzo nel girare con Gibson, anzi: «Ho incontrato Mel, ci ho parlato, l’ho conosciuto e non ho avuto dubbi».

In attesa di sapere se la redenzione di Gibson sarà totale e continuerà anche ai prossimi Oscar, dove La battaglia di Hacksaw Ridge è candidato a sei statuette tra le quali miglior film e miglior regista, questa volta sul set si è portato anche il figlio Milo («Che non mi ha mai ascoltato in tutta la vita e infatti non lo ha fatto nemmeno sul set»), mentre la fidanzata Rosalind Russ lo ha reso padre per la nona volta. Non bastasse, dopo il successo de La battaglia di Hacksaw Ridge Gibson è già sul set di un nuovo film, questa volta da attore, The Professor and the Madman, tratto da L’assassino più colto del mondo di Simon Winchester (Mondadori) a fianco di un altro bad boy di Hollywood: Sean Penn. Così, il calvario di Mel – che ha ammesso di non essere affatto un sostenitore di Trump – sembra essere ufficialmente concluso anche se ora a Hollywood la separazione è netta: da una parte chi è convinto che il vecchio Gibson prima o poi ricascherà negli antichi vizi, dall’altra chi invece sostiene che la rinascita è appena iniziata. Staremo a vedere.

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