Gli spiriti dell’isola, Martin McDonagh: «Mi piacciono i set felici. Le prove? Fondamentali»

Il regista e sceneggiatore racconta a Ciak i segreti del suo ultimo film, pluripremiato a Venezia e ai Golden Globes

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«Prima di iniziare le riprese abbiamo sempre un periodo di due o tre settimane dedicato alle prove», racconta Martin McDonagh che, dopo il trionfale passaggio alla Mostra di Venezia, dove ha presentato Gli spiriti dell’isola (nelle sale dal 2 febbraio) ha accettato di incontrare Ciak in esclusiva su zoom per approfondire l’analisi del suo magnifico film. «Quello delle prove è il momento per diventare amici, nel caso non lo fossimo già da prima, è l’occasione per discutere i personaggi e capire il rapporto di ogni attore con gli altri», prosegue l’autore, «questo significa che quando si girerà il film saremo tutti d’accordo su come dovrebbe essere la scena. Naturalmente sul set c’è ancora molto spazio di manovra, ma i personaggi sono definiti, conosciamo i dialoghi e sappiamo dove dovrebbero essere i momenti tristi e quali potrebbero essere quelli divertenti. Quindi penso che così si liberino gli attori, dando loro la possibilità di esplorare la recitazione. A me piace che il set sia felice, penso che aiuti gli attori, che possono sempre venire da me e discutere i loro problemi, o cosa vogliono fare con la scena. Non mi piace l’idea del regista/dittatore, preferisco lavorare sulla comunanza d’intenti».

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Brendan Gleeson e Martin McDonagh sul set di THE BANSHEES OF INISHERIN. Photo by Jonathan Hession. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2022 20th Century Studios All Rights Reserved

Il teatro Martin McDonagh

Questo approccio alla vita di set del drammaturgo e regista, nato a Londra da genitori irlandesi, rivela molto delle sue matrici teatrali. Non a caso Martin McDonagh ha iniziato la sua carriera nel 2003 al Royal National Theatre con The Pillowman, prima di una serie di opere teatrali (tra queste La Bella Regina di Leenane, The Lonesome West, Il Tenente di Inishmore), messe in scena nel West End, a Broadway e in oltre 40 paesi, e tradotte in oltre 30 lingue. Vincitore di numerosi premi per queste pièce (tra cui diversi Olivier Awards), McDonagh ha successo anche come sceneggiatore e regista cinematografico, a cominciare dall’Oscar vinto nel 2004 per il miglior cortometraggio live action (Six Shooter), cui sono seguite tre nomination all’Academy Award: migliori sceneggiature originali per In Bruges – La Coscienza dell’Assassino (2008) e Tre Manifesti a Ebbing, Missouri (2017), che si è aggiudicato anche quella per il miglior film.

The Banshees of Inisherin (questo il titolo originale), riesce nell’impresa di raccontare un piccolo evento come la fine dell’amicizia tra due uomini (Colin Farrell e Brendan Gleeson), trasformandolo in un apologo sull’insensatezza della guerra, con una narrazione dove dramma e humour si intrecciano senza soluzione di continuità. Il film, dopo aver vinto a Venezia la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile (Farrell) e l’Osella per la migliore sceneggiatura (McDonagh), ha vinto ben 3 Golden Globe (su 8 nomination, record di questa edizione): Miglior film commedia, Migliore sceneggiatura e Migliore attore per un film commedia a Colin Farrell.

Oltre al tempo che dedica alle prove prima delle riprese sul set cosa si porta dalla sua formazione teatrale? Martin McDonagh

Molto, specialmente nella scrittura dei dialoghi. Io amo il dialogo, amo i personaggi interessanti e mi piacciono anche i colpi di scena. Così le mie commedie hanno spesso molti colpi di scena e i dialoghi dei miei film sono piuttosto prolissi. E questo mi piace!

Le sue sceneggiature sono ricchissime e psicologicamente raffinate, che spazio rimane agli attori per eventuali improvvisazioni?

Non è tanto una questione d’improvvisazione, quanto di come occupano gli intervalli tra i
dialoghi, come reagiscono. Ad esempio: nella scena in cui Brendan dice per la prima volta «Colin, non mi piaci più», sul copione c’è scritto solo “pausa”, ma sapevo che la reazione di Colin era il tema portante dell’intero film e l’aspettavo. Chiamato a inventare, lui lo fa magnificamente. Anche con una sceneggiatura fantastica non avrai mai un buon film se gli attori non sono brillanti. Naturalmente, una buona sceneggiatura attirerà i migliori attori, ma se hai una grande sceneggiatura e grandi attori, allora il regista dovrebbe togliersi di mezzo!

Il film è ambientato nel 1923, mentre in Irlanda infuriava la guerra civile, guerra che non tocca l’isoletta dove si svolge la vicenda. Eppure il comportamento dei protagonisti sembra denunciare la follia della guerra. È così? Martin McDonagh

Mostro come nei rivolgimenti di una piccola storia tra due uomini le cose possano andare così male da diventare dannatamente pericolose. C’è molto di una guerra civile come quella irlandese, dove persone che erano amiche e combattevano dalla stessa parte l’anno prima sono arrivate al punto in cui si uccidevano a vicenda nel modo più barbaro. Quindi sì, raccontare il microcosmo di questa storia è simbolicamente importante.

In tutti i suoi film, da In Bruges, fino a Tre manifesti a Ebbing, Missouri, l’ambientazione della vicenda diventa un personaggio aggiuntivo. Ci spiega questa sua predilezione?

Con In Bruges ho sempre voluto che la bellezza della città facesse parte della storia e da allora ho pesato che mostrare dove siamo fosse una buona idea tanto quanto mostrare gli attori. Con Banshees of Inisherin in particolare volevo che l’ovest dell’Irlanda fosse molto, molto bello, spaventoso e spazzato dal vento. Mi piace anche l’idea che quando qualcuno vede il film, poi voglia andare sul posto perché è così cinematografico.

Oltre ai paesaggi grande spazio è affidato agli animali.

Sì, amo l’asinella Jenny: lei è bellissima. Sapevo che la sua innocenza sarebbe stata una parte importante del film, come quella di tutti gli animali: è quasi come se vedessimo questo scontro attraverso i loro occhi innocenti. Gli animali ovviamente sono influenzati da ciò che sta accadendo e c’è qualcosa di così bello negli animali, perché sono sempre sinceri e sono sempre capaci di sorprenderti. Non è solo l’isola ad essere un personaggio, anche i suoi animali lo sono.

Colin Farrell però ha raccontato di aver avuto un incidente con Jenny. Come è andata?

Jenny gli ha dato un calcio sul ginocchio, non solo: è stato anche morso dal cane e quasi spinto nell’oceano dal cavallo durante la traversata tra l’isola di Inishmore e quella di Achill, che erano i nostri due set. Però è tutta colpa sua: lui non ci sa proprio fare con gli animali, loro questo lo capiscono subito e reagiscono di conseguenza.

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Ha già deciso la location del suo prossimo film?

Sì, ma è ancora un segreto. Quando ero in Italia a Venezia è stato fantastico, così sarebbe bello andare da qualche parte in Italia. Il fatto è che credevo di avere una sceneggiatura pronta, ma quando l’ho riletta ho visto che non era buona come avrebbe dovuto essere, quindi devo ancora lavorarci, perché voglio sia buona come quella di Banshee.