Stefano Sollima, l’americano di Roma – Intervista esclusiva

Stefano Sollima racconta la nuova esperienza hollywoodiana in Senza rimorso, anticipa a Ciak il prossimo progetto, Colt (da un’idea di Sergio Leone) e spiega la sua (sorprendente) idea del cinema che ci aspetta che intende realizzare

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Parliamo di Colt, allora. C’è una pistola che passa di mano in mano. Sarà un film a episodi?

No, perché il passaggio avviene all’interno di un gruppo di protagonisti che è sempre lo stesso. È la storia di come tre ragazzini da orfani si trasformano in fuorilegge. Quindi è una storia di formazione attraverso le armi. Il soggetto iniziale è di Sergio Leone, su quello avevamo costruito un trattamento con Massimo Gaudioso e Luca Infascelli, la sceneggiatura in inglese l’ha scritta Dennis Lehane, ed è spettacolare. Dovremmo girarlo in inverno, in Canada e forse in Romania.

La storia ricorderà in qualche modo C’era una volta in America?

No, in realtà è completamente diversa: loro sono ragazzini per tutto il film, e la vicenda si svolge nell’arco di giorni e non di decenni. E ti dirò anche che non farei mai un omaggio al cinema di Sergio Leone, che è un grande, ma non voglio fare un western come lo facevano i nostri padri, voglio fare un western che sia bello e godibile per i nostri figli.

Torniamo a Senza rimorso. Il livello di difficoltà delle riprese non credo sia mai stato così alto, pensando anche solo alla scena dell’incidente aereo che per ricchezza e qualità ricorda quella dell’affondamento del Titanic nel film di James Cameron. Come sei riuscito a girare una scena del genere?

È vero, è stata una vera impresa realizzarla. La mia convinzione che la chiave narrativa fosse di vivere la storia dal punto di vista dell’attore ha comportato che Michael avrebbe dovuto interpretare tutte le scene action senza stunt, perché sarebbe stato importante vivere l’esperienza dell’azione non tanto nella sua dimensione spettacolare ma in una chiave più “intima”, emotiva, andando a scoprire come l’azione colpisce e cambia il protagonista.

Abbiamo disegnato anche la scena della caduta dell’aereo immaginando di stare con Michael dall’inizio alla fine, vedendo pochissimo cosa succede al di fuori, e concentrandoci sulla sua reazione, la sua sensazione mentre l’aereo sta precipitando senza controllo verso l’oceano.

E l’abbiamo fatto attraverso una specie di piano-sequenza. Questo aumenta la sensazione di disagio, un po’ per lo stile del film, un po’ perché subito dopo l’impatto lui decide di tuffarsi dentro la carlinga che sta affondando (l’aereo si spezza a metà) per prendere una parte d’equipaggiamento fondamentale per l’esito della missione.

Una volta sott’acqua è tutto costruito su inquadrature molto lunghe che durano per quanto lui riesce a tenere il fiato. Per fare questo, abbiamo sezionato un Boeing, e dentro una piscina abbiamo realizzato l’impatto dell’acqua e la successiva rotazione. Quindi il nostro cast, con gli attori che avevano già provato, e la macchina da presa erano in questo pezzo di aeroplano gigantesco che ruotava di 180 gradi sull’asse. Ci sono dei tagli invisibili, perché non era tecnicamente possibile farla tutta come si vede nel film. È stato un lavorone, anche per Michael, visto che la scena l’ha fatta tutta lui!

La scelta di rendere afroamericano un personaggio che non lo era nei romanzi di Clancy rispecchia una tendenza della Hollywood di oggi?

Considera che il lavoro su questo film è iniziato circa tre anni fa, il Black Lives Matter era ancora in embrione. Penso che spesso l’arte si ritrovi, chissà quanto casualmente, ad anticipare dei fenomeni. Questo è sicuramente un primo passo, non tanto per cavalcare un’onda, ma perché ormai fa parte di una consapevolezza. Motivo per cui ho subito appoggiato anche l’idea dello sceneggiatore Taylor Sheridan di cambiare il personaggio di
Greer in una donna. Un film non può essere una bolla astratta, deve rispecchiare il mondo che ti circonda e che troverai uscendo dalla sala.

Colpisce una cosa: se uno scrittore come Clancy, all’apice quando il mondo era diviso in due blocchi, è ancora attuale al punto da ispirare una storia come la vostra, vuol dire che in definitiva il mondo non è così cambiato nei decenni.

No, infatti, ed è forse l’elemento che più mi ha intrigato del racconto di Clancy: il fatto che tutto sommato le ragioni delle guerre sono sempre le stesse, quindi anche i nemici tendono a ripetersi. Senza un nemico le guerre non le puoi fare, e non si può stare senza nemici, perché è come se l’essere umano avesse bisogno di un nemico, dentro o fuori dai confini nazionali. Quindi le guerre sono un fenomeno tragico ma continuamente alimentato da noi, come se in fondo ne avessimo bisogno. Questo è il cuore emotivo del racconto, che lo rende secondo me tragicamente attuale.

È possibile che il film abbia un seguito?

Il seguito nei romanzi c’è già, ed è Rainbow Six. Senza rimorso racconta di come John Kelly diventi John Clark. Il protagonista del sequel e già presente nell’universo di Jack Ryan, personaggio interpretato al cinema da Harrison Ford e da altri attori. Senza rimorso è in pratica la origin story di John Clark. Aspetteremo che esca prima di iniziare a capire come sviluppare il seguito.