Stefano Sollima, l’americano di Roma – Intervista esclusiva

Stefano Sollima racconta la nuova esperienza hollywoodiana in Senza rimorso, anticipa a Ciak il prossimo progetto, Colt (da un’idea di Sergio Leone) e spiega la sua (sorprendente) idea del cinema che ci aspetta che intende realizzare

0

A proposito dell’uscita: un film del genere, nella magia del grande schermo guadagnerebbe forza. Qual è la tua posizione su questo, considerato che il film è distribuito da Amazon?

Ovviamente Senza rimorso è stato pensato, scritto e realizzato – dalla scelta delle lenti al montaggio agli effetti speciali, la musica, il mix, tutto – per il grande spettacolo cinematografico. Nel momento in cui le sale non ci sono è evidente che la destinazione
ideale diventa una grande piattaforma che sostiene e ama il tuo film. E che lo distribuisce
per una platea ancora più ampia di quella che avrebbe avuto nelle sale.

È una distribuzione figlia dei nostri tempi, però personalmente penso sia bello, in un momento così delicato, in cui le persone fanno fatica a evadere, regalare nel salotto di casa un film di questo livello. Molte persone condivideranno comunque l’esperienza, anche se non saranno insieme nella stessa sala.

Alla fine, il cinema italiano è ancora percepito come il secondo per importanza nel mondo, pur se a grande distanza dagli Usa. Un italiano che, al tuo livello, va alla prima riunione con le maestranze tecniche americane, avverte una stima di partenza o è più forte il pregiudizio
verso chi viene da fuori?

L’industria hollywoodiana è piena di talenti non americani. Quindi non ho mai sentito alcun pregiudizio, nemmeno all’inizio. C’è grande rispetto per la storia del nostro cinema, e negli ultimi anni anche una conoscenza del nostro cinema più recente che è stato distribuito, visto e apprezzato in tutto il mondo, con registi che hanno ottenuto l’attenzione del pubblico internazionale.

Quindi oggi la percezione che si ha della creatività italiana è migliorata rispetto a dieci, quindici anni fa. Magari non al livello degli anni ’60 e ’70, ma la crescita del nostro sistema industriale è evidente e si nota.

Jodie Turner-Smith e Michael B. Jordan in una scena del film

Stefano Sollima è ormai un regista di culto per molti, ma tendi comunque a mantenerti fuori da certe dinamiche del nostro cinema.

Tutto ciò che faccio, non lo faccio per crearmi un personaggio, ma perché mi viene naturale. Penso che ognuno di noi abbia la sua visione di questo lavoro, di come possa e debba impattare sulla vita privata, ed è giusto così, che ognuno se la viva come pensa e come crede.

Io sono sempre stato molto all’estero e sono portato per un tipo di cinema che ti proietta quasi naturalmente in una certa direzione. Il nostro è un lavoro molto complesso, tanto più se lo fai ad alti livelli, e la personalità la dimostri con la serietà del lavoro e dei risultati che porti.

E come immagini la ripresa dopo questo periodo? Tra l’altro, non so come hai convinto gli americani a montare a Roma…

La prima parte, quella del director’s cut, era prevista da contratto. Perché si tratta di una parte di montaggio dove, non avendo interazioni con gli altri reparti e lavorandoci in tre-quattro persone, è facile trasferirsi da una parte all’altra. Poi, quando toccava alla parte che avrei dovuto fare a Los Angeles, ci sono state le chiusure di marzo e non potevamo muoverci, perciò abbiamo gestito tutta la post-produzione da remoto.

Penso che da questa esperienza tragica della pandemia si possano ricavare insegnamenti positivi, come il fatto che puoi continuare a fare certe cose senza bisogno di muoverti così tanto e, nel mio caso specifico, allontanarti per mesi dalle persone che ami. Anche se tra un po’ tutto tornerà esattamente come prima, anzi forse per reazione la gente vorrà addirittura uscire di più, dopo anni di semi clausura.

Quello attuale è un momento transitorio, anche per quanto riguarda la distribuzione cinematografica: è così ed è l’unico modo di far vedere i nostri film al pubblico, ma non vedo l’ora di tornare in una sala cinematografica. Allo stesso modo i grandi OTT come Netflix e Amazon stanno conquistando uno spazio e regalando anche occasioni alle industrie dei vari paesi. Soprattutto, stanno rendendo il cinema e la televisione, anche locali, un fenomeno globale, da fruire globalmente, e io trovo che sia una gran ficata!

Vivendo a Los Angeles e lavorando a Hollywood, ti sei trovato a incontrare e frequentare altri grandi registi?

Stando lì hai l’occasione di incontrare, frequentare, andare a cena con colleghi registi, con i quali peraltro continuo ad avere un bellissimo rapporto, anche se virtuale in questo periodo. Si crea un supporto, un gioco di squadra, che è molto interessante. A Los Angeles ho vissuto anche per lunghi periodi, ma non ho mai preso casa, non ho mai pensato di trasferirmi lì. Perché oggi puoi vivere dove vuoi e lavorare per chi vuoi. E casa mia è questa.