La caccia: presentato a Roma il nuovo film di Marco Bocci

Il thriller prodotto da Minerva con Rai Cinema sarà in anteprima il 10 maggio al Riviera International Film Festival e poi nelle sale per Medusa dal giorno successivo. Nel cast Laura Chiatti, Paolo Pierobon, Pietro Sermonti, Filippo Nigro e Peppino Mazzotta.

0

«Una parte molto feroce della nostra società» è quella che voleva raccontare Marco Bocci col suo secondo lungometraggio da regista, La caccia, prodotto da Santo Versace e Gianluca Curti per Minerva Pictures con Rai Cinema, in anteprima il 10 maggio al Riviera International Film Festival di Sestri Levante (dopo essere stato presentato allo scorso Torino Film Festival) e distribuito dall’11 maggio al cinema in 250 copie per Medusa. Un thriller, un dramma familiare, ma anche e soprattutto una fiaba nerissima che prende spunto da quella su I quattro fratelli ingegnosi dei fratelli Grimm, per ribaltarla in una cupa e tragica parabola di personaggi che si divorano a vicenda. Emblema di un momento storico in cui, afferma Bocci, «si lotta ogni giorno con una ferocia tremenda per la sopravvivenza, per la sopraffazione, perché il più forte vinca sul più debole, per il denaro, ormai l’unico specchio del successo e del potere».

Oggetto del contendere è infatti l’eredità del defunto padre padrone (Peppino Mazzotta) che potrebbe cambiare la vita dei quattro figli: l’ex tossicodipendente Silvia (Laura Chiatti), l’artista spiantato Mattia (Pietro Sermonti), l’ambizioso venditore di automobili Luca (Filippo Nigro), l’impiegato e padre di famiglia Giorgio (Paolo Pierobon). Tutti e quattro accomunati (anche) da un evento traumatico legato alla loro infanzia con l’autoritario genitore: la memoria è non a caso la molla da cui è partito Bocci (che si ritaglia anche un piccolo ruolo nel cast) per dare forma alla sua storia (scritta assieme ai co-sceneggiatori Alessandro Pondi e Alessandro Nicolò).

Tutto nasce infatti alcuni anni fa, da un ricordo dimenticato che il regista si stava sforzando di richiamare a sé: «A un certo punto», spiega, «ho iniziato a fare il ragionamento opposto: e se invece fosse stata una fortuna per me, perché mi ero dimenticato qualcosa che magari stava segnando la mia esistenza senza che me ne accorgessi? Da qui è nata l’idea “malsana” di raccontare quattro personaggi che avrebbero pagato qualunque cosa per dimenticare». Un tema cui s’intreccia quello, già caro a Bocci dai tempi del suo esordio A Tor Bella Monaca non piove mai (2019), dei legami familiari: inserendo quindi  i protagonisti in «un contesto che mi affascina molto», dove «c’è una storia che ogni personaggio si porta dietro, ma in maniera passiva. Perché viviamo a volte delle scelte degli altri, e non sappiamo quanto queste si possano staccare dalle decisioni che prendiamo da adulti».

Motivo per cui i quattro fratelli «più che persone cattive, sono persone “rotte”», afferma Pietro Sermonti: «Questo film parla di quanto un dolore con cui non si fa i conti ti perseguita per tutta la vita, e soprattutto rende impossibile la vita a chi ti sta vicino». «Non sono cattivi, hanno una violenza latente che abbiamo un po’ tutti, poi dipende dai percorsi che facciamo nella vita», aggiunge in merito Paolo Pierobon, secondo cui l’aspetto più interessante del film sta proprio nel non rappresentare la realtà come bianca o nera ma nel mantenersi «in questa zona grigia, che non è né ombra né luce» e rimanda all’ambiente chiave della vicenda, il bosco, «che diventa quasi uno stato interiore».

«Non li vedo cattivi», concorda Filippo Nigro, «li vedo disperati, sull’orlo di un baratro», aperto da «quest’educazione sentimentale attraverso la caccia, che gli arriva dal padre». Non a caso per Mazzotta «il cattivo sono io, perché il mio personaggio è quello che ferisce, loro rispondono a questa ferita come possono, nell’arco della loro esistenza». «Hanno delle rotture interiori, ma che gli sono state imposte da qualcosa che hanno dovuto subire», sottolinea a sua volta Laura Chiatti, la cui Silvia, peraltro, emerge come la figura forse «più coraggiosa: ha inciampato ma ha saputo rialzarsi, e a differenza dei fratelli è andata dritta verso un obiettivo che sapeva potesse salvarla». L’attrice e compagna del regista ha inoltre confessato come alcuni tratti del carattere di Silvia rimandino intenzionalmente al suo: «Ho assistito alla nascita di questo progetto, e leggendo il personaggio mi sono quasi “sovrapposta”».

Laura Chiatti, Pietro Sermonti, Paolo Pierobon e Filippo Nigro in un'immagine de La caccia.
Laura Chiatti, Pietro Sermonti, Paolo Pierobon e Filippo Nigro in un’immagine de La caccia.

La caccia segna anche la prosecuzione del sodalizio tra Bocci e la casa di produzione Minerva (che quest’anno festeggia i suoi settant’anni): «Con Marco c’è ormai un rapporto particolarmente intenso e felice», ha detto Gianluca Curti, che ha definito l’altro un «autore di grandissima sensibilità», con «una capacità di stare sul set interpretando dieci ruoli contemporaneamente», sapendo sempre «esattamente quando e dove vuole che venga messa la macchina da presa».

«Siamo entrati con entusiasmo nel film», ha dichiarato invece Samanta Antonnicola, Responsabile della produzione di Rai Cinema, che ritiene La caccia un lungometraggio «di qualità, che fa riflettere, che è d’autore ma è anche di genere, quindi con un dinamismo e un ritmo che pensa anche allo spettatore». «Un film giusto per questi tempi», secondo il direttore della distribuzione di Medusa Film Paolo Orlando, perché «in un periodo del genere abbiamo visto che il pubblico torna  al cinema se viene “ingaggiato” da qualcosa» provvisto non solo di «una storia intrigante», ma anche degli ulteriori elementi d’interesse «per cui valga la pena lasciare i divani».

Tra questi, probabilmente, c’è la dura radicalità del tono e dello sguardo di un regista-narratore che non offre facili consolazioni al suo pubblico. Un aspetto elogiato esplicitamente dal co-protagonista Sermonti: «Credo ci sia un’illusione enorme nella nostra società, per cui si pensa che in un periodo difficile dare in continuazione il metadone della commedia sia una cosa benefica. Invece, ascoltare e guardare storie di persone e del loro dolore è qualcosa che risuona in chi non sta bene, e può farci sentire meno soli». L’attore ha anche rimarcato ironicamente l’estro vulcanico del regista-attore sul set: «Ha un rapporto talmente animale con la macchina da presa che l’operatore di macchina sta ancora facendo fisioterapia!».