Mindemic: parlano Giorgio Colangeli e il regista Giovanni Basso

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Il regista Giovanni Basso e l’attore protagonista Giorgio Colangeli raccontano il film Mindemic (Opera Zero), al Cinema Mexico di Milano il 15 giugno e poi in tour a Roma (Cinema Troisi, 16-21 giugno), Ferrara (Cinema Apollo, 20 giugno), Bologna (Cinema Galliera, 22 giugno) e Pescara (cineteatro Massimo, 22-30 giugno)

«Fare l’opera prima è sempre una battaglia, perché sei sconosciuto. E questa battaglia a volte ti fa quasi sentire come se fossi già alla fine della tua carriera». Così il regista e sceneggiatore Giovanni Basso parlando del suo lungometraggio d’esordio Mindemic (Opera Zero), dal 15 giugno in tour per le sale italiane con Azimut Distribution (che produce con Magnet Films): un debutto che narra, appunto, di un regista cinematografico settantenne ormai da anni inattivo, Nino Fontana, che trascorre una vita solitaria nel proprio appartamento. Finalmente, però, arriva una nuova proposta di lavoro, apparentemente una grande produzione: ma, perché vada in porto, Nino dovrà consegnare la sceneggiatura entro tre giorni. Inizia così un viaggio nei gorghi inquieti della creatività, dove è difficile distinguere tra sonno e veglia, realtà e immaginazione. Protagonista assoluto Giorgio Colangeli, in una delle sue prove più intense per il cinema.

«Questa prova», spiega l’attore, «è proprio una delle cose che mi ha attratto da subito del progetto. Ed è stato bello, perché ho ritrovato tutto quello che prometteva la sceneggiatura: a cominciare da un set intimo, dove essendoci una piccola troupe ognuno poteva parlare senza che si facesse confusione». Il film infatti è quasi tutto ambientato nella casa di Nino/Colangeli ed è stato girato da Basso durante la pandemia utilizzando semplicemente il proprio iPhone (con attaccata una lente anamorfica americana adattata al sensore mobile). «Eravamo una troupe di quattro persone», ricorda Basso, «ma perché ce lo ha permesso la tecnologia utilizzata. Io poi sono un grande appassionato di John Cassavetes, che si metteva a girare con la sua 8 mm o 16 mm durante i ritrovi con gli amici teatranti, e in generale amo tutto quel cinema che veniva fatto con molto poco. Abbiamo cercato di riprendere un po’ quello spirito lì».

«Giovanni è un “uomo-troupe”, aggiunge Colangeli, «potrebbe fare il lavoro della troupe tutto da solo, e in Mindemic è stato quasi così». Senza nulla togliere però al lavoro di squadra durante le riprese, che hanno beneficiato di un’organizzazione «tutt’altro che verticistica», sottolinea l’attore, «perché se il film lo aveva naturalmente in testa Giovanni, Davide Angiuli è stato un braccio destro formidabile, come il fonico Maurizio Massa. Persone che ho conosciuto lì ma di cui ho apprezzato la grande dedizione a questo lavoro: è un po’ il valore aggiunto di imprese simili, che sono vere e proprie sfide».

Altrettanto ridotta all’essenziale la compagine degli attori: accanto all’interprete principale, abbiamo Rosanna Gentili, Paolo Gasparini, Claudio Alfredo Alfonsi, Roberto Andreucci e Rossella Gardini. Basso e Colangeli, dal canto loro, hanno già lavorato insieme nel corto del regista Il grande presidente (2019), esperienza da cui era nato anche un progetto di lungometraggio rimasto incompiuto. E però il sodalizio tra i due ha portato a questo Mindemic. Che, confessa Basso, «è stato un sogno che si è realizzato: da anni che volevo realizzare un film così, in una sola location, con un grande attore protagonista, concentrandomi su un personaggio».

Personaggio che, rimarca Colangeli, rappresenta dinamiche universalmente connesse al lavoro creativo: «un lavoro spesso di solitudine, una solitudine dove effettivamente ti “ricrei”. Perché se è vero che la socialità consente di esprimersi, dall’altro lato vincola a certi schemi, finendo con l’essere un po’ una camicia di forza. La solitudine, invece, ti libera dal punto di vista creativo, se riesci a dare un esito a questo fermento, che può essere anche molto sofferto». Un processo dove la tecnologia contemporanea gioca un ruolo sovente ambiguo: «Per creare», sostiene Basso, «devi avere il tempo di far sedimentare le cose dentro. E in questo la tecnologia odierna non aiuta, perché rende tutto immediato. Spesso perciò succede che le persone pubblichino cose istantaneamente e poi se ne pentano. Avere invece il tempo di far assumere alle cose una forma, che non puoi prevedere quale sia, è importante, non solo nell’arte ma nella vita».

Giovanni Basso, regista di Mindemic (Opera Zero).

Lo status ambivalente dei moderni mezzi di comunicazione è non a caso uno dei nodi tematici di Mindemic restituito anche attraverso scelte inconsuete: «Nel film», svela il regista, «le telefonate a Giorgio avvengono tutte dal vivo, non sono state aggiunte in post-produzione. Davamo il “ciak”, doveva partire la telefonata, e loro recitavano davvero dal punto in cui si trovavano, registrando l’audio in modalità live. Ovviamente a volte la tecnologia ci abbandonava e dovevamo rifare molte volte la scena». «Tra l’altro», aggiunge ironico Colangeli, «se la tecnologia a volte ti abbandona, io sono uno che ha abbandonato la tecnologia!».

Allo stesso tempo la vicenda di Mindemic lascia intravedere una società stravolta e alienata, dove proprio lo spazio per la creazione artistica sembra essersi ristretto all’inverosimile. Alludendo, senza mai nominarli, al Covid e ai vari lockdown, ma non solo a questi: «Negli ultimi due anni», afferma Basso, «siamo stati tutti toccati da quanto accaduto, ma non essendo un film incentrato sulla pandemia ho voluto provare ad avvicinarmi all’archetipo dell’evento catastrofico: che può essere una pandemia, una guerra o un’invasione aliena, qualsiasi cosa che ci proietti in una situazione apocalittica. Nel film non serve sapere cosa è accaduto e perché, piuttosto viviamo ciò che per il personaggio è questo isolamento: lo stesso Nino potrebbe essere un alieno, si sente come un reietto, escluso da tutti. Volevo che ognuno potesse ricavarne una sua interpretazione».

Una delle possibili chiavi di lettura, come si diceva, è la difficoltà ad emergere per le nuove generazioni che, in questi tempi di crisi e di incertezza, vogliano intraprendere professioni artistiche (e non solo): «Oggi i giovani si sentono al tramonto, senza essere sorti», riflette al riguardo Colangeli, «e quando non ti ascoltano, quando vedi di non essere entrato nel giro, hai una sensazione simile a quella che hai quando ne sei uscito. Poi tante cose oggi sanno un po’ di tramonto, non solo al cinema».

Mindemic, per contrasto, si rifà dichiaratamente a un’altra epoca, quella dei Federico Fellini e dei Marco Ferreri, con la loro «voglia di sperimentare un po’ pazza», come la definisce Basso. Che infatti cita tra i principali riferimenti del film Dillinger è morto: non solo per la storia di «un uomo solo abbandonato a se stesso, il cui cervello inizia a viaggiare per dei mondi non propriamente “consoni”», ma anche per la colonna sonora di Teo Usuelli, «da cui è partito in me l’approfondimento di questo grande maestro: così ho scoperto il film La rivoluzione sessuale,  di Riccardo Ghione, innamorandomi delle musiche di Usuelli, che sono diventate quelle di Mindemic perché rappresentavano esattamente ciò che vedevo nel personaggio e nella storia».

E il film, come la grande stagione cui in parte si richiama, ci ricorda tra le altre cose di come il cinema non debba necessariamente puntare sulla verosimiglianza per parlare degli esseri umani: «È un falso problema», sottolinea in merito Colangeli, «se pensiamo alle origini del cinema con registi come Georges Méliès. Il cinema consente di avvicinarsi all’onirico, al subconscio, a ciò che sta “dietro” e oltre il reale e che, come ci insegna la psicoanalisi, è determinante per la nostra vita».