Giorgio Colangeli: «Dal tour di Mindemic a un maestro nell’Italia in crisi»

L'attore, in viaggio per l'Italia col suo primo film da protagonista assoluto, si racconta a Ciak e anticipa i progetti in arrivo. Qui la versione estesa dell'intervista pubblicata su Ciak n. 1 di gennaio 2023

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«Ho fatto sempre tutto troppo tardi», dice di sé Giorgio Colangeli: e però, di cose ne ha fatte. Classe 1949, laureato in fisica, attore teatrale dal 1974, poi, dagli anni ’90, anche sul grande e piccolo schermo. Oggi, tra le altre cose, può vantare di sapere a memoria tutta la Divina Commedia e di essere finito nella rosa dei candidati per rappresentare l’Italia agli Oscar 2023 con un esordio indipendente, Mindemic (Opera zero) di Giovanni Basso.

Un’«esperienza impegnativa ma di grande gratificazione», racconta Colangeli a Ciak: «Al cinema ho sempre fatto personaggi anche importanti ma non protagonisti: qui era più che un protagonista, era il film. E siccome non mi piaccio mai quando mi rivedo, all’inizio ero un po’ perplesso. Ho cominciato a crederci piano piano, e qui è stato fondamentale il pressing di Giovanni».

Segnalatosi per un notevole risultato nelle categorie Miglior regista esordiente e Miglior attore ai Ciak d’oro, Mindemic è tuttora in tournée per il Paese. Ispirando a Colangeli una soluzione per promuovere i film durante la crisi delle sale: «bisognerebbe fare il Cinegiro!», sulla falsa riga dell’itinerante Cantagiro. Infatti, sottolinea, «oggi è necessario costruire eventi, perché la gente la porti al cinema solo se gli offri qualcosa che c’è quella sera, e poi mai più. Come in teatro».

Giorgio Colangeli con il regista di Mindemic Giovanni Basso. Foto di Elen Rizzoni.

Intanto, l’attore ha lavorato a cinque nuovi lungometraggi in arrivo prossimamente. Uno, Castelrotto di Damiano Giacomelli, è un’altra opera prima che lo vede nel ruolo principale, quello di Ottone, che giudica tra i preferiti della sua intera carriera cinematografica: «Un personaggio come forse a me piacerebbe essere: maestro elementare di un piccolo centro delle Marche, sente la responsabilità sociale del suo ruolo, quindi è consapevole della crisi che sta vivendo il paese, che poi è la crisi di tutti: Castelrotto è il campioncino con cui cerchiamo di capire cosa sta succedendo in Italia e forse nel mondo. Poi, a differenza di me, Ottone è uno che dice pane al pane e vino al vino, non è diplomatico».

«Mi sono affezionato anche al lavoro fatto sul marchigiano», prosegue Colangeli, «con una coach bravissima, Rebecca Liberati. Mi ha fatto riemergere una serie di ricordi infantili, perché da ragazzo andavamo in vacanza in una casetta di campagna sotto Tivoli, dove c’era una forte immigrazione proprio dalle Marche, e con una di queste famiglie vivevamo praticamente insieme».

Un altro ruolo intenso sarà in Dall’alto di una fredda torre di Francesco Frangipane, da un testo teatrale di Filippo Gili (anche sceneggiatore): «Il film fa parte di una trilogia che Gili ha scritto e dove il tratto unificante è la riflessione sulla morte. È la storia di due genitori che si ammalano di una malattia rara e possono essere salvati da una trasfusione di consanguineo. Ma dei due figli, un uomo e una donna, solo lei è compatibile. Quindi devono scegliere chi salvare. Io interpreto il padre, la madre è Anna Bonaiuto». Nel cast anche Edoardo Pesce e Vanessa Scalera.

Ma, eclettico come sempre, l’attore non ci farà mancare i ruoli brillanti. Come in Mai dire Kung Fu – Grosso guaio all’Esquilino del duo YouNuts!, con Lillo PetroloOgni tanto ci provo, con i comici», commenta ironico Colangeli), e nel grottesco Lo sposo indeciso che non poteva (o forse non voleva) più uscire dal bagno di Giorgio Amato, dove, per una consulenza sull’imbarazzante problema che affligge il protagonista Gianmarco Tognazzi, ci si rivolge all’urologo Colangeli. E lo vedremo in C’è ancora domani, debutto di Paola Cortellesi alla regia di un lungometraggio: «Lei ha dato anima e corpo per questo film, e la sceneggiatura è molto bella», assicura lui.

Giorgio Colangeli in un altro scatto di Elen Rizzoni.

Il debutto al cinema, per Colangeli, era stato invece con Pasolini, un delitto italiano (1995) di Marco Tullio Giordana: «Fu un’occasione e una bella esperienza, perché era un film molto valido, pieno di gente di spettacolo e di sinistra, che considerava la partecipazione a quel progetto una sorta di premio alla carriera. Io facevo una “comparsata di lusso”, ovvero il giudice a latere del processo a Pelosi, avevo solo piani d’ascolto, però dato che il processo prende buona parte del film, non potevi farli fare alla prima comparsa che capitava».

Poco dopo, La cena (1998) di Ettore Scola gli porta il primo riconoscimento, preso «quasi “sotto anestesia”: non me lo ricordo come dato a me, perché quel Nastro d’argento come miglior attore non protagonista era condiviso con tutto il cast maschile, più un omaggio al regista che ai singoli interpreti». Il David di Donatello invece lo otterrà per uno dei ruoli a lui più cari, quello del padre detenuto di Giorgio Pasotti ne L’aria salata di Alessandro Angelini (2006): «Mi piace interpretare “cattivi” che poi non sono cattivi, per indurre la gente ad essere più cauta nel giudizio. Io lavoro molto con i bambini, e anche il più crudele di noi è stato un bambino. Perciò, quando vedo una persona presuntuosa, arrogante, mi domando: a quattro anni com’era?».

Non sembra casuale poi che lo troviamo spesso nella parte di genitore: «Sono stato figlio di un padre che ha interpretato il suo ruolo con quell’autoritarismo che c’era nella cultura dell’epoca, ma ho sempre pensato che lui fosse altro da questo. Io stesso mi domando che immagine si sia fatta mio figlio di me. E allora mi piacciono quei personaggi di padri che vengono scoperti solo “dopo”, magari dopo la morte».