Riccardo Scamarcio, Il ladro di giorni: «Sono un padre e un cattivo maestro»

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Interpreta spesso ruoli da duro, ma ama i film che “toccano le corde profonde dell’anima” e non riesce a non commuoversi quando guarda Nuovo cinema Paradiso di Tornatore. Riccardo Scamarcio, alla presentazione stampa a Roma del film di Guido Lombardi Il Ladro di giorni, in sala dal 6 febbraio, parla del cinema che gli piace.

«Questo non è un noir, è un mélo, un genere che per molti anni è stato ripudiato in Italia come se dei sentimenti ci si dovesse vergognare, mentre io sono per il cinema che riesce a toccare le corde più profonde dell’anima – spiega l’attore – Quando ho letto il copione mi ha ricordato Il campione di Zeffirelli, in quel caso il padre era un pugile, qui uno pseudo criminale, ma al centro c’è sempre un viaggio e un confronto tra un padre e un figlio».

Il soggetto di Il ladro di giorni, firmato da Guido Lombardi, ha vinto il Premio Solinas Storie per il cinema nel 2007, ed è anche un libro, nato in parallelo, scritto dallo stesso Lombardi, dal quale ha tratto la sceneggiatura avvalendosi della collaborazione di Luca De Benedettis e Marco Gianfreda. Al centro della storia c’è il dodicenne Salvo (Augusto Zazzaro) che rincontra suo padre Vincenzo (Riccardo Scamarcio), appena uscito dal carcere dopo sette anni di separazione. Insieme intraprenderanno un viaggio dal Trentino, dove il bambino vive con gli zii, alla Puglia, terra natale di Vincenzo. «È una storia di formazione ma anche di ‘deformazione’ – spiega il regista – il padre è un cattivo maestro, che insegna al figlio come si ruba o come si impugna una pistola. Alla fine è lui il vero fanciullo della storia e, proprio grazie al figlio, diventerà uomo».

A interpretare il piccolo Salvo è Augusto Zazzaro, 13 anni, alla sua prima esperienza cinematografica, che sul set ci è arrivato quasi per caso: «Ho accompagnato un mio amico al provino e mi sono trovato io con il copione in mano». «Era l’unico bambino non agitato a recitare con Riccardo Scamarcio, quando avevamo detto loro che sarebbero stati sul set con un grande attore lui pensava fosse Giampaolo Morelli», racconta sorridendo il regista. Poi tutto è venuto naturale: «Augusto assorbiva ogni insegnamento come una spugna. I bambini sono attori per antonomasia, non hanno filtri e per me è il modo più congeniale di lavorare. Non credo nel “professionismo” nel cinema, questo è un lavoro artistico, un’alchimia. Io cerco di lavorare con persone con le quali ho qualcosa da dirmi». Non programma quindi in anticipo la sua carriera, e in questo momento che non è impegnato sul set può dedicarsi al cinema da spettatore: «Mi sono piaciuti The Irishman, Joker, C’era una volta a Hollywood e ho molto apprezzato l’esordio alla regia di Marco Bocci, A Tor bella Monaca non piove mai».

Maria Teresa Squillaci