Non aprite quella porta, il ritorno del capostipite

Compie 50 anni una delle opere seminali dell’horror, inventore del genere slasher e film dalla potente carica politica. Per festeggiare, il capolavoro di Tobe Hooper torna al cinema

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Non aprite quella porta

Quarant’anni fa, nella torrida estate del 1984, moriva Ed Gein. A molti dirà poco il nome di quest’uomo la cui dieta e il gusto per l’arredo sarebbero divenuti tristemente leggendari. Già, perché la paura disturbante e lacerante, il senso di orrore che vi ha invasi guardando Psycho e Il silenzio degli innocenti è figlio dei 13 anni in cui quell’uomo dall’aspetto anonimo ma dalla ferocia inusitata ha ucciso (almeno) 7 persone – tra cui suo fratello – violato un’infinità di cadaveri e ha deciso di mangiare i loro corpi e fare rivestimenti per suppellettili della loro epidermide. Entrò nell’immaginario del dopoguerra statunitense per quell’efferatezza creativa che – proviamo a ricordare le follie più raccontabili – lo indussero a fare di femori gambe di un tavolo, di una colonna vertebrale una lampada e dilettarsi infine nel suonare un tamburo di pelle umana. Non vi diremo, invece, come costruì la sua cintura preferita.

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Hitchcock di lui predilesse il perverso legame tra la “casa dolce casa” e la madre scomparsa, per farne il cine-archetipo principe della serialità omicida. Demme invece si concentrò sul cannibalismo e affini, attribuendogli un’intelligenza eccessiva – la sua, era soprattutto pratica e manuale, un ottimo artigiano dell’omicidio -. Tobe Hooper, invece, probabilmente non sapeva ancora di aprire, 50 anni fa (il 1° ottobre 1974, ma in Italia torna in sala grazie a Plaion qualche giorno prima, dal 23 al 25 settembre 2024), un franchise di successo e ancora vivo e vegeto. Ma lo sospettava, se è vero che non si è fatto fermare da nulla e nessuno, a partire dai molti problemi sul set (di un film costato, si racconta, un centinaio di migliaio di dollari) fino agli attacchi della censura. Quel primo capitolo, solo negli Usa, totalizzò 31 milioni di dollari; in Italia, diventò un cult e un modo di dire quasi dantesco, grazie anche a Fida Cinematografica – distribuzione nota per inventare titoli improbabili e lontani dall’originale (suo è il mitico Non drammatizziamo… è solo una questione di corna, adattamento del Domicile coniugal di François Truffaut) ma anche per puntare sul genere senza se e senza ma, che si trattasse di horror o di Franco e Ciccio.

Marilyn Burns e Paul A. Partain in Non aprite quella porta (1974)

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Hooper è figlio della controcultura del tempo, è nel vortice (la sua casa di produzione, Vortex, denuncia questa sensazione) della rabbia giovanile e politica di una generazione cresciuta con l’orrore del Vietnam come compagno quotidiano e il Watergate a demolire quel poco di fiducia nel governo superstite. E in quel sangue, in quella carne, c’è anche questo. In quegli 83 minuti di violenza cieca, di follia, di un uomo che al posto dell’argenteria ha in casa una collezione di motoseghe, c’è la provincia profonda americana che vive male e vota peggio, c’è il sogno americano fatto a pezzi, letteralmente. Il regista il film lo dirige, è uno dei due sceneggiatori, con Wayne Bell confeziona una colonna sonora notevolissima. Oltre a produrlo, ovviamente. Il successo è clamoroso, figlio anche della casualità: il prostetico per Leatherface è complicatissimo e lentissimo da applicare, così Gunnar Hansen, che interpreta Faccia di cuoio, pretende di girare quante più scene possibili consecutivamente. Non può sopportare a lungo le ore passate a sentirsi cambiare i connotati, e per renderlo più “sostenibile” decide che sarà, il suo antieroe, incapace di parlare, che rimarrà privo di molte delle caratteristiche di un adulto. Questo perché anche solo guardare, con quella “maschera” era difficile, figuriamoci parlare. E perché la fatica di giornate di set che potevano durare, per lui, anche 16 ore (per un mese circa, senza nessun benefit) lo rendevano nei movimenti appesantito e goffo. Ma ancora più spaventoso. Dopo 50 anni aprire quella porta fa ancora paura. Anche se, quella mitica casa che era meglio evitare, ora, beata America, è diventata quello che meno avresti immaginato. O forse, perversamente, ha finalmente trovato la sua vera destinazione d’uso. È un ristorante. Piatto forte: bistecca al sangue, ovviamente.