Presentato in concorso alla 81ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, The Brutalist di Brady Corbet ha vinto il Leone d’argento per la Miglior regia. Lungometraggio in costume, il film racconta l’epopea, dal 1947 fino agli anni’90, dell’architetto ebreo László Tóth emigrato dall’Ungheria negli Stati Uniti e vede protagonista Adrien Brody al fianco di Felicity Jones e Guy Pearce.
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IL FATTO
László Tóth (Adrien Brody) è un architetto ebreo ungherese che a seguito delle tragiche conseguenze lasciate dalla Seconda guerra mondiale sceglie di emigrare negli Stati Uniti. Sebbene professionista geniale, László è inizialmente costretto ad accettare mestieri umili e a lavorare duramente vivendo in povertà. Quando però un ricco imprenditore americano, Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce), scopre il suo talento, ottiene presto un contratto che cambierà il corso dei successivi trent’anni della sua vita.
L’OPINIONE
Sebbene abbia tutto l’aspetto di un biopic, The Brutalist non è una storia vera. Eppure, per fattura, dettagli storici, contesto ambientale e sociale è un racconto del tutto verosimile e assolutamente funzionale al contenuto cercato dal regista Brady Corbet insieme alla sceneggiatrice Mona Fastvold, con cui aveva già lavorato a The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo (Leone del futuro – Premio Venezia opera prima “Luigi De Laurentiis” nel 2015).
Il titolo del film è un chiaro richiamo al Brutalismo, corrente architettonica nata negli anni Cinquanta del Novecento in Inghilterra, uno stile edilizio e di arredamento di interni fatto di linee essenziali e nette che grazie alla loro semplicità creano un elegante incrocio di prospettive. Netta, essenziala eppure complessa nella sua struttura potrebbe dirsi anche la storia stessa di László Tóth, simile a molte di quelle vere di tanti artisti perseguitati e sterminati, delle cui possibili grandi opere siamo stati privati dai tragici eventi della metà del secolo scorso.
In tre ore mezza Corbet restituisce un amaro racconto personale e una parabola professionale che si fanno emblema delle tante vite e carriere spezzate dalla guerra. Adrien Brody interpreta un personaggio il cui dramma e la cui forza diventano via via sempre più penetranti mostrando quanto la persecuzione e la sopraffazione non siano frutto dei soli regimi dittatoriali.
László Tóth non è un eroe e non diventa un uomo di successo nel nuovo mondo, al contrario la sua genialità finisce anche per diventare una ulteriore forma di condanna che si va a sommare alle sue origini ebraiche. Corbet non stende un’ode alla grandezza e alle opportunità che gli Stati Uniti hanno offerto ai numerosi rifugiati del dopoguerra, ma intende mostrare realisticamente la durezza di un’esistenza svantaggiata che passa da un dramma noto ad uno più sottile e silenzioso.
The Brutalist racconta la storia di un uomo, ma anche di un pensiero, che tenta faticosamente di affacciarsi al futuro, mentre il passato non smette di esercitare la sua influenza tossica per fare in modo che nulla cambi davvero. Adrien Brody veste magnificamente i panni di un personaggio complesso, dolente e forte, sconfitto ma mai spezzato, in una lotta, anche artistica e visiva, tra un passato da demolire e un futuro difficile da costruire.
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Il pianista (The Pianist, 2002) di Roman Polański, in cui Adrien Brody impersona un talentuoso musicista ebreo nella Varsavia occupata dai nazisti, ruolo che gli è valso il Premio Oscar, e il già citato The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo (2015) di Brady Corbet, racconto in tre parti sulla nascita e lo sviluppo della follia dittatoriale.
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