Donne che parlano, questo è Women Talking – Il diritto di scegliere, e quello era il titolo del romanzo best-seller di Miriam Toews sul quale Sarah Polley si è basata per questo suo quarto film (dopo Away from Her, Take This Waltz e Stories We Tell). Un film capace di guadagnarsi due nomination all’Oscar, come Miglior Film e per la Miglior Sceneggiatura non originale, un film manifesto – come si sarebbe detto una volta e ormai si usa poco, dire o fare – distribuito da Eagle Pictures nei nostri cinema a partire dall’8 marzo, una scelta non causale visto il tema trattato e l’eccezionale cast composto da Rooney Mara, Claire Foy, Jessie Buckley, Judith Ivey, Sheila McCarthy, Michelle McLeod, Kate Hallett, Liv McNeil, August Winter e Frances McDormand (per tacer di Ben Whishaw).
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IL FATTO:
Tante donne, tutte protagoniste. Tutte vittime dell’orribile abitudine degli uomini della loro stessa comunità religiosa a drogarle e violentarle. Una realtà allucinante ispirata a una storia di cronaca accaduta nella Comunità Mennonita di Molotschna in Boliva, raccontata nel suo libro dalla scrittrice canadese e adattata per lo schermo dalla stessa regista. Che qui racconta la dolorosa e non facile presa di coscienza dei diversi personaggi nel lungo dibattere su quale sia la maniera giusta per reagire a quanto subito, senza però rinnegare i precetti della fede che hanno scelto. Far finta di niente, restare e combattere o lasciare la comunità e i loro mariti, figli e fratelli, al momento assenti perché in viaggio verso la città vicina per pagare la cauzione ad alcuni degli aggressori, identificati e arrestati, e farli tornare in libertà. Due giorni di tempo, due giorni nei quali saranno le donne a decidere del loro destino dopo essersi confrontate e aver valutato i pro e i contro di ogni ipotesi al vaglio.
L’OPINIONE:
Sarah Polley ammette di esser stata profondamente colpita dalla storia scritta dalla Toews, ma più per le riflessioni e i pensieri che le aveva scatenato che per il casus belli dal quale era partita. Ed è evidentemente per generare una reazione analoga anche nel pubblico che deve aver optato per un racconto “non violento” di un confronto tanto doloroso. Nel quale alle opinioni che dividono e allontanano le componenti di questo gruppo di donne, si intrecciano una serie di riferimenti e/a temi universali che inevitabilmente toccheranno molti spettatori, se non tutti. Queste donne (più che il silenzioso transgender Melvin/Nettie e il reietto August di Ben Whishaw) parlano delle rinunce che comportano la vita in una società civile o l’appartenenza a una religione, del valore del rispetto di sé e quando e perché subordinarlo al bene comune, o al potere costituito, e poi dell’elaborazione del senso di colpa, del lutto, della violenza, dell’imposizione che svilisce il perdono, fino ai concetti di giustizia e di vendetta: un ordine del giorno molto ricco che viene dibattuto a lungo nella speranza di poter costruire o trovare un mondo nuovo, diverso e migliore, da offrire alle proprie figlie. Come sottolineano ed evidenziano l’incipit e la conclusione del film, che idealmente compongono e chiudono un cerchio all’interno del quale tutte le posizioni sono rappresentate con grande passione, ma senza mai davvero emozionare o scavalcare il limite di un approccio fondamentalmente intellettuale e razionale.
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SE VI E’ PIACIUTO WOMEN TALKING, ALLORA…
Provate a seguire la ricostruzione fatta da Maria Schrader nel suo Anche io (She Said) che ci riporta alle vicende che diedero vita al movimento del #MeToo. Ma soprattutto recuperate l’accoppiata dei Dogville e Manderlay di Lars Von Trier, che sceglie di ridurre alla sua essenza un contesto analogamente duro e sofferto per dare risalto ai confronti e le scelte che gli abitanti della comunità in questione sono costretti ad affrontare.