IL NEMICO INVISIBILE

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Dying of the Light USA, 2014 Regia Paul Schrader Interpreti Nicolas Cage, Anton Yelchin, Irène Jacob, Alexander Karim, David Lipper Distribuzione Barter  Durata 1 h e 34′

In sala dal

9 luglio

Non ha molti amici nella CIA, l’agente Evan Lake. Solo brutti ricordi, una ferita che gli deturpa l’orecchio e un protetto, Milton Schultz, che gli è devoto e affezionato. Esami clinici gli rivelano poi di essere affetto da una progressiva forma di demenza senile. Con la prospettiva del pensionamento anticipato e della debilitazione totale, l’amareggiata spia scopre altresì che probabilmente il suo arcinemico, il jihadista Muhammad Banir, l’uomo che lo ha catturato e torturato, in realtà potrebbe essere ancora vivo e operativo, a distanza di tanti anni. Ossessionato e già menomato, Lake si lancia sulle labili tracce, deciso più che a fare giustizia a vendicarsi.

Non lasciatevi fuorviare dalla presenza di Nicolas Cage, solitamente una garanzia di tamarrata, o dall’uscita secondaria nel luglio canicolare. Il nemico invisibile (Dying of the Light) è nonostante tutto una anomala spy story con spunti interessanti, anzi: sulla carta una delle migliori/ambiziose sceneggiature/regie del Paul Schrader più recente (cioé: dimenticate se potete Adam Resurrected e The Canyons). Il cineasta si è infatti sforzato di fare dello scontro Cage – Alexander Karim (in Svezia è una star tv, qui interpreta invece l’infermo e spietato Muhammad Banir) non uno schematico e sbrigativo duello tra il bene e il male, piuttosto un gomitolo di relazioni, anche complesse, tra due rifiuti del passato, inchiodati sino alla fine al loro ruolo e all’intrecciamento dei loro destini. Purtroppo per Schrader (e anche per noi), quello che si intuisce (solo in parte) è stato annullato – non del tutto, ma abbastanza – poi dal fatto che il progetto gli sia stato sottratto (leggi: scippato) mentre era già quasi pronto e rimontato dai produttori assecondando al contrario la prospettiva di una più banale corrività dell’action standard. Tra le conseguenze: il rifiuto da parte di Schrader, Cage, Anton Yelchin e Nicolas Winding Refn – proprio lui, qui in veste di produttore esecutivo – di pubblicizzare Il nemico invisibile facendolo così diventare quasi invisibile tout court. D’accordo che Schrader non è Orson Welles, però si intuisce davvero come il film sarebbe potuto diventare, ovvero un torbido e intrigante viaggio nelle tenebre della mentalità criminale (come in altri campi aveva già fatto meravigliosamente ai tempi con Taxy Driver, Hardcore o Lo spacciatore). Invece è solo una spy story, giusto con qualche spezia di originalità.

Massimo Lastrucci