Io c’è, inventarsi una religione per non pagare le tasse: la commedia intelligente che cambierà la vostra Pasqua

0

Italia, 2018 Regia Alessandro Aronadio Interpreti Edoardo Leo, Margherita Buy, Giuseppe Battiston, Massimiliano Bruno, Giulia Michelini Distribuzione Vision Distribution Durata 1h e 40’

Al cinema dal 29 marzo 2018

LA STORIA — Massimo, proprietario del bed and breakfast “Miracolo italiano”, è messo in ginocchio dalla crisi e dalla sua stessa mancanza di responsabilità. Il convento di suore di fronte, invece, fa il pieno di turisti, ai quali chiede solo un’offerta, ovviamente esentasse. Massimo allora ha un’idea: per aggirare il fisco deve trasformare il suo b&b in luogo di culto. E quindi s’inventa ex novo una religione: lo “Ionismo”, il primo culto in cui “ognuno è il proprio dio”. Lo aiutano per la parte fiscale la sorella commercialista e per quella del “verbo” lo scrittore fallito Marco. Lo Ionismo però comincia a raccogliere sempre più adepti e Massimo si trova incastrato suo malgrado nel ruolo del guru.

L’OPINIONE — Col precedente Orecchie, e ora con Io c’è, Alessandro Aronadio ha inaugurato una nuova categoria di commedia raffinata, di concetto e di parola, che legge la realtà con occhio dissacrante senza rinunciare a un certo esistenzialismo. Io c’è parla di una necessità umanissima e trascendentale insieme: quella di credere a una religione, un’entità superiore o anche solo a una storia, «non importa se vera o falsa, ma che ci faccia addormentare sereni», come recita la chiusa del film. E in Italia, per aprire una religione riconosciuta dallo Stato bastano uno statuto, il pagamento di un F23 e una richiesta al catasto per lo status di luogo di culto, esentasse. Io c’è parte da un approccio laico ed equidistante, con filmati veri di battesimi e abluzioni di culti diversi, perché quello che vedremo in forma di commedia nasce dai meccanismi della fede nel mondo reale.

La sceneggiatura ha una qualità rara nel cinema italiano: liberarsi dagli equilibrismi timorosi del politicamente corretto e usare con intelligenza la sana cattiveria della satira, mettendo in luce gli aspetti buffi o controversi dei culti più diffusi (come il concetto di peccato e di senso di colpa, cardine di ogni religione). Quello di Aronadio è un cinema finalmente adulto, che non ha bisogno di rassicurare o rabbonire il pubblico, ma stabilisce il diritto di sorridere anche della Chiesa. Nella seconda parte, forse, finisce per prendersi un po’ troppo sul serio. Ma la comicità, più di parola che di situazione, scaturisce limpida soprattutto dall’incontro tra il pragmatismo di Massimo e la pretesa spiritualità dei religiosi, come nell’esilarante duello in stile western con le suore. A supportare la sagace sceneggiatura c’è l’intesa fra i protagonisti – Leo, Buy e Battiston – che riescono ad amalgamare tre anime brillanti diverse ma perfettamente compatibili.