Il complesso tema del patriarcato viene affrontato con delicatezza, cruda e viva, in Happy Holidays di Scandar Copti, che, dopo la vittoria del Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura alla 81esima Mostra del cinema di Venezia, arriva al cinema dal 3 luglio. Nel cast Manar Shehav, Wafaa Aoun, Toufic Danial e Meirav Memoresky.
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Rami è un palestinese di Haifa, con una ragazza ebrea che, una volta rimasta incinta, non vuole abortire, mentre sua madre, Hananm sta cercando di uscire da una crisi finanziaria che sarà peggiorata, in qualche maniera, dall’incidente che subisce la figlia Fifi, che intanto cerca di convivere con i sensi di colpa per un segreto che si trascina dietro a fatica. Infine, Miri cerca di convincere la sorella ad abortire, mentre sua figlia attraversa uno stato di forte depressione.
Quanto è stato complesso affrontare questa storia per i tempi attuali?
«Ho scritto il film nel 2018, prima che tutto cominciasse. Se l’avessi scritto oggi sarebbe stato chiaramente diverso. Noi scriviamo attraverso le emozioni: non è un procedimento logico. Scrivo di quello che non mi piace, non di quello che mi piace e mi lascio guidare dalle mie frustrazioni. Oggi non avrei scritto del patriarcato».
In ogni storia c’è un po’ del suo autore: in Happy Holidays cosa c’è di te?
«L’ispirazione è arrivata da ragazzo, verso i 16 anni, quando ho ascoltato una mia parente dire a suo figlio: “Non permettere mai a una donna di dirti cosa fare”. Mi è sembrato paradossale, che una donna dicesse al proprio figlio di non lasciarsi influenzare da un’altra donna: i valori patriarcali sono talmente radicati nella nostra cultura che persino le donne si sentono in dovere di difenderli. Negli anni dell’università, ho ritrovato simili comportamenti nella società israeliana, in cui le tradizioni culturali vengono usate per sostenere il patriarcato e la militarizzazione della società. Quando siamo piccoli siamo abituati ad ascoltare ciecamente gli adulti, senza interrogarci sui brocardi che ci tramandano. Non sviluppare uno spirito critico, però, ci porta ad azioni orribili di cui non ci rendiamo neanche conto. Anzi, ciecamente difendiamo quei valori che ci sono stati inculcati se vengono contestati da terzi. Io ho cominciato a ribellarmi ai valori imposti da adulto, quando ho scoperto quanto fosse importante uscire dalla propria comfort zone e imparare a ragionare su ciò che difendiamo e sosteniamo. Ho iniziato a fare cinema proprio per questo: provocare un ragionamento, aprire gli occhi ed uscire dalla propria zona di confort».
Il patriarcato è sempre stato al centro di molte storie israeliane e palestinesi, dal cinema ai fumetti: ad oggi c’è un margine di miglioramento secondo te?
«Purtroppo, molte persone non riesco ad interrogarsi su quei famosi valori imposti di cui parliamo. Un grande punto di partenza è parlarne. In entrambe le società, palestinese ed israeliana, penso che il film stia avendo un impatto. Ricevo risposte critiche, e ne sono contento: questo film deve mettere in luce ciò che non funziona. Se sei vincolato a dei preconcetti, non puoi essere veramente libero. Se non accetti il prossimo nelle sue differenze, non puoi dirti davvero senza catene, perché non riesci ad aprire la tua mente. Le strutture coloniali e oppressive ci hanno limitato per secoli, oggi si può e deve andare oltre i propri schemi ed accettare la diversità altrui».
In questo momento tanto delicato, però, questa tematica passa in secondo piano?
«Io non riesco a comprendere quello che sta succedendo. Non riesco a capire l’atrocità e la mancanza di empatia che sta dimostrando il mondo. Qualsiasi altro argomento oggi è in ombra rispetto a quanto sta accadendo. Ma noi abbiamo tanti motivi per non perdere la speranza. Ci sono popoli che sono stati invasi per più di 150 anni e sono riusciti a risollevarsi. Ho due figli, con il più grande parlo della situazione che la mia stessa famiglia sta vivendo, con il più piccolo, che è un bambino, invece cerco di non farlo: non voglio che il genocidio lo spogli della sua purezza. Anche lui sa quello che sta succedendo, ma non lo capisce appieno e per il momento è meglio così».