Amen, le suggestioni del film di Andrea Baroni al Torino Film Festival

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Amen di Andrea Baroni

Amen, un titolo breve ma più che esplicito per l’opera prima di Andrea Baroni presentata Fuori Concorso al 41esimo Torino Film Festival. Un casolare nel mezzo del nulla e tre giovanissime sorelle, cresciute isolate dal mondo, educate esclusivamente dalla nonna devota e ossessionata dalle Sacre Scritture sotto il controllo di un padre violento: sono gli elementi da cui il film prende le mosse. Il film è interpertato da Grace Ambrose, Francesca Carrain, Luigi Di Fiore, Paola Sambo, Valentina Filippeschi e Simone Guarany con la partecipazione di Silvia D’Amico.

Amen, trama

In un casolare di campagna fermo nel tempo, vive una famiglia estremamente religiosa, sono cristiani che seguono alla lettera le Scritture del Vecchio Testamento. Le tre giovani figlie non hanno mai abbandonato la proprietà spinte da rispetto, dovere e sotto l’egida di un padre padrone e una nonna dogmatica. Quando però un giorno arriva al casolare un altro nipote della nonna, tra quest’ultima, le tre sorelle e il padre inizia un conflitto collerico, nascosto e silenzioso che cambierà per sempre il corso della vita delle tre fanciulle.

Ciak ha intervistato il regista di Amen Andrea Baroni.

Come nasce Amen?

Amen nasce da una suggestione. Dopo aver scoperto casualmente il casolare in cui è ambientato il film, si è innescato un meccanismo che mi ha portato sul set in pochissimo tempo. C’era per me un richiamo antico e mistico in quel posto: mi ha riportato all’adolescenza, ad un casolare appunto in cui cose belle, divieti e trasformazioni sono avvenuti.  E poi c’era in me la voglia di esplorare il concetto di limite attraverso espedienti che credevo di conoscere: l’educazione religiosa e la scoperta sessuale.
Ho chiamato a raccolta un gruppo di professionisti amici e con loro abbiamo accettato una sfida impossibile: girare un lungometraggio in due settimane come stessimo all’interno di una Comune. Infine Amen è stato per me un territorio di analisi ed esplorazione di quanto l’educazione impartita dall’ambiente in cui si cresce, possa condizionare l’intero spettro di decisioni prese nel corso di una vita“.

Il film esplora il delicato momento dell’adolescenza, con il desiderio di scoperta di se stessi, dell’altro e del mondo circostante, ma la religione è confine castrante e opprimente che impedisce alle ragazze di conoscersi e conoscere. Quale dei due aspetti voleva mettere maggiormente in evidenza?

L’aspetto religioso è solo un espediente, un contesto in cui far muovere gli assoluti che avevo in testa e che mi tormentavano. La conoscenza intesa come volontà di infrangere il limite e la convenzione è invece il punto centrale, il fuoco che bruciava e mi ha mosso all’esplorazione. Volevo che i miei personaggi guardassero in una direzione sconosciuta, con tutta l’eccitazione e il terrore dell’adolescenza. E poi subissero delle conseguenze rispetto a quella scelta, come se ci fosse sempre e solo una risposta alle loro azioni. Per questo era ancora loro scelta se redimersi o meno. Da italiano mi interessa molto e non posso non indagare il nucleo familiare, come prima cellula di amore e potere. Questa cellula è poi immersa in un brodo cristiano-cattolico che senza bisogno di accettazione alcuna, è insito nei nostri costumi. E ci dobbiamo fare i conti più volte di quelle che pensiamo”.

In Amen i dialoghi sono ridotti all’essenziale, è tutto un gioco di immagini, sguardi e gesti, perché questa scelta?

“Cerco spesso la suggestione dell’immagine. È quello che adoro nei film che guardo. La messa in scena e l’intimità della psicologia del personaggio dovrebbero avere il sopravvento sugli aspetti di pura linearità di scrittura in un mondo ideale. Per questo sogno un film fatto solo di immagini senza dialoghi. Aldilà dei sogni, però Amen è invece molto parlato a mio giudizio. La scrittura dei versetti, dei rimandi biblici, è stata capillare e ne sono particolarmente soddisfatto. Affioravano in me, come fossi tornato negli anni della catechesi.  Ringrazio gli attori per questo, è stato estremamente difficile per loro credere in questo tipo di battute e sono stati efficaci e stratificati nelle singole interpretazioni”.

Il casolare in cui si sviluppa la storia delle tre sorelle sembra quasi sospeso nel tempo e dal mondo, qualcosa che potrebbe fare pensare ad un esito apocalittico dell’umanità. C’era questa intenzione da parte sua?

Da spettatore mi piace molto quando sono ingaggiato dalla storia e posso farne parte attraverso il dubbio. Però, entrando nella mia visione di vita, rispondo sinceramente: no.
Sono un positivo e non credo ad esiti apocalittici o pensieri suicidi aprioristici. Anzi, ho sempre sperato che i miei personaggi potessero travalicare quel limite spazio-temporale e rompere la linea del film. Vorrei scoprire insieme ai personaggi che la normalità e la bellezza del mondo stanno nelle cose tramandate e che ci sono state raccontate.
In fondo, ogni famiglia è sospesa in un suo tempo e in un suo spazio“.