Cannes 2023, Quentin Tarantino presenta il film che gli ha cambiato la vita

Quentin Tarantino arriva al Festival di Cannes e sconvolge la Croisette con la sua presenza. La ragione: parlare di cinema

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Quentin Tarantino Cannes

«State per vedere il film più bello di sempre». Almeno per Quentin Tarantino, che è arrivato al Festival di Cannes giovedì 25 maggio ospite della Quinzaine des realisateurs, la sezione in cui avrebbe sempre voluto partecipare e in cui effettivamente doveva essere con Le iene, il suo primo film.

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La cosa non andò in porto e oggi, 31 anni dopo, il sogno di Quentin si è arrivato. L’occasione è stata la Carte Blanche messagli a disposizione dalla Quinzaine, ovvero la scelta di un film che ha particolarmente segnato la sua idea di cinema e la sua carriera. È il lungometraggio scelto non poteva non essere parte di Cinema Speculation, il suo libro di critica e di passione che è stato oggetto di gran parte della comunicazione con il direttore della sezione più amata dai cinefili della Croisette, Serge Caballero. Prima di svelare il film, Tarantino ha raccontato un gustoso aneddoto.

«Il film che state per vedere lo vidi a cinema da ragazzino, ma non era quello per cui ero andato al cinema. In realtà era successo questo: ero l’unico nella mia scuola a non avere visto I tre dell’operazione Drago, l’ultimo film di Bruce Lee, e la cosa mi stava facendo impazzire. Allora tormentai mia madre per portarmi al cinema a vederlo, e veniva programmato solo in un doppio spettacolo con un altro film. Il primo era Enter the Dragon, lo vidi finalmente, ma anche se mi piacque, non mi fece impazzire. Quello che venne dopo invece…».

Rolling Thunder, di John Flynn

Un film del 1977 interpretato da William Devine e un giovane Tommy Lee Jones che «è stato il primo film che ha stimolato il mio senso critico», quindi in pratica da cui tutto è partito. Un revenge movie come se ne facevano molti negli anni Settanta, «praticamente ne usciva uno a settimana», scritto da Paul Schrader, anche se la sua sceneggiatura fu stravolta, tanto che di fatto non ha mai riconosciuto il film.

«Inizialmente la banda che massacrava la famiglia del protagonista doveva essere tutta messicana e il massacro finale doveva essere assoluto, i due reduci dovevano uccidere tutti, per sottolineare il fatto che fossero due disturbati mentali e soprattutto perché in questo modo si evidenziava la condanna nei confronti dell’atteggiamento fascista dei due nei confronti dei messicani. Ma tutto fu cambiato e Paul si sentì come mi sento io nei confronti di Assassini nati, un film che non mi appartiene. A un sacco di gente piace, una volta Johnny Cash mi ha incontrato in ascensore e mi ha fatto i complimenti, ma a lui non me la sono sentita di spiegargli la storia, l’ho ringraziato e basta».

Ne ha di aneddoti Quentin, soprattutto non riesce a fermarsi quando parla di cinema e di tutte le sue mille sfaccettature. Del fatto che anche Taxi Driver doveva essere diverso inizialmente diverso, con il pappa che doveva essere di colore, «ma per fortuna è così com’è, non potrei concepirlo senza Harvey Keitel», del suo amore per Brian De Palma, «perché mi è sempre piaciuta l’idea che fosse quello più sfigato dei suoi amici e compagni di università Coppola, Scorsese, Lucas», della sua rivalutazione di Sentieri Selvaggi «un film in cui non ero mai riuscito a entrare fino a pochi anni fa, e scrivendo Cinema Speculation l’ho rivisto e ne ho capito la grandezza. Non è diventato un mio film della vita, ma l’ho capito».

Uno degli argomenti su cui Caballero si è voluto molto soffermare è la violenza nel cinema di Quentin Tarantino e sulla sua forma catartica. Il regista è stato molto chiaro: «Sì, mi piace la violenza nei film, c’è a chi piace il melodramma, a chi piace la commedia, a me piace violenza, non posso farci niente, quella è la mia cosa».

Che spesso ha usato per riparare dei torti, come in Bastardi senza gloria, in cui la giovane donna ebrea uccide Hitler.

«Ma in quel caso non ero partito con l’idea che finisse così, solo che a un certo punto mi sono trovato in un vicolo cieco mentre scrivevo. Non sapevo come uscirne finché a un certo non mi sono detto “lo ammazzo”. È la mia storia, posso fare quel che voglio. Allora ho scritto su un foglio “Ammazzalo Cazzo” e l’ho messo sul comodino, per vedere se la mattina dopo mi sarebbe sembrata ancora una buona idea. E quando mi sono svegliato era ancora una buona idea”.

In C’era una volta a… Hollywood invece «l’idea è sempre stata quella di salvare Sharon Tate, mandando quei figli di puttana nella casa sbagliata. Ma quella davvero sbagliata».

Pubblico molto partecipe, in delirio quando il regista di Pulp Fiction è salito sul palco, in religioso silenzio mentre parlava, facendo entrare gli ammiratori accorsi nella Salle Croisette nel suo mondo fatto di film senza fine e che si sta sempre più trasformando nel suo desiderio di raccontare il cinema attraverso la scrittura. Non a caso il suo prossimo film avrà per protagonista un critico, realmente esistito, che scriveva su una rivista porno delle ottime recensioni di film di cassetta negli anni Settanta e Ottanta.

La domanda su The Critic è arrivata, alla fine, Caballero ha cercato di prenderla larga partendo da Le Iene, dove Mr Brown, interpretato dallo stesso regista, esce vincitore da una lunga discussione con i suoi “colleghi” sull’importanza di Like a Virgin, la canzone di Madonna. Di fatto un chiarissimo esempio di analisi critica. L’inizio di un processo che arriva oggi a compimento: «potrei dirvi perché e come sono arrivato a decidere di fare The Critic, ma poi dovrei raccontarvi troppe cose sul film. Dovrete aspettare. To be continued…»