Sofia Coppola e il suo intimo gruppo di donne, più amazzoni che socie di un club dell’uncinetto. L’inganno è il suo quarto film insieme a Kristen Dunst incontrata nel 1999 a 16 anni in Il giardino delle vergini suicide. E il secondo con Elle Fanning, dopo Somewhere del 2010 quando aveva 11 anni. Poi ci sono le collaboratrici dietro le quinte e non sullo schermo, la costumista Stacey Battat e la montatrice Sarah Flack. Ma stavolta la più importante è Anne Ross, production designer, al suo quinto film insieme (Lost in translation-L’amore tradotto, Somewhere, Bling Ring, più il tv movie A Very Murray Christmas), e anche commercial (Christian Dior e H&M), e video musicali (I Just Don’t Know What to Do with Myself dei The White Stripes). Anche perché è stata lei a consigliare a Sofia il film, dandole da leggere il romanzo originale di Thomas Cullinan, da cui era stato già tratto un film, La notte brava del soldato Jonathan nel 1971 (per una curiosa coincidenza l’anno di nascita della regista).
Sono amiche da prima ancora che Anne entrasse nella famigliona Coppola come assistente alla produzione di Dracula di Bram Stocker di papà Francis Ford. Avevano lavorato insieme nell’ultra indipendente I visitatori del sabato sera, scritto da Roman Coppola, in cui Sofia era la costumista e Anne faceva parte dell’art department.
Per L’inganno hanno cominciato a confrontarsi fin da quando lei scriveva la sceneggiatura. Il metodo di lavoro è sempre lo stesso: Sofia cita delle immagini, e Anne setaccia tutto quello di analogo che trova, preparando le cosiddette “mood boards”, cioè letteralmente tavole dell’umore. I ritratti del pittore John Singer Sargent, fine diciannovesimo secolo (donne e ragazze in vestiti bianco virginali, contro sfondi scuri), e alcune scene di Tess di Roman Polanski e di Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir. Più una scena particolare di Caccia al ladro, per via di una silhouette in chiaroscuro. E per la foresta, Rashomon di Akira Kurosawa. Per l’atmosfera vari Hitchcock, e per la dinamica del rapporto donne/uomo Misery non deve morire di Rob Reiner.
Raramente Anne deve costruire degli ambienti, perché Sofia ama location già esistenti. E anche quando faceva la fotografa, non lavorava mai in studio, perché è convinta che gli attori “feel differently in a real location”, perché sono influenzati dalla storia del luogo. L’inganno è stato girato in due sole location, la villa del 19mo secolo della piantagione Madewood per gli esterni, (già usata da Beyoncé nel video Sorry dall’album Lemonade), e un’ altra casa per gli interni.
La grande novità di questo film è il look gotico, ricreato nei dettagli: candelabri, stanze rivestite di legno, cancelli di ferro con punte aguzze. Dovessero scegliere un precedente film della loro collaborazione che un po’ gli somiglia, sarebbe Il giardino delle vergini suicide che, sia pure ambientato in un periodo diverso, metteva in scena lo stesso isolamento e alienazione di donne costrette a vivere insieme non per scelta.
Marco Giovannini
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