“FIORE”, L’AMORE ADOLESCENTE DIETRO LE SBARRE

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Al Festival di Cannes, alla Quinzaine, sboccia il Fiore di Claudio Giovanneso, ambientato in un carcere minorile dove Daphne, detenuta per rapina, si innamora di Josh, anche lui giovane rapinatore. I maschi e le femmine non si possono incontrare e l’amore è vietato: la relazione di Daphne e Josh vive solo di sguardi da una cella all’altra, brevi conversazioni attraverso le sbarre e lettere clandestine. Il carcere non è più solo privazione della libertà, ma diventa anche mancanza d’amore.

Giovannesi torna a indagare l’universo degli adolescenti di oggi, fragile e disperato, dove tutto può ancora succedere e dove ogni avvenimento assume dimensioni spesso incontrollabili. Divisi dalle sbarre di un riformatorio che non consente il contatto tra ragazzi e ragazzi, Daphne e Josh sono due novelli Giulietta e Romeo senza tetto né legge, disposti a tutto pur di inseguire un amore impossibile e proibito, loro unica possibilità di riscatto. La macchina da presa segue Dafne a distanza ravvicinata, fotografando rabbia e dolcezza, sgomento speranza e delusione dipinti sul volto di questa attrice non professionista, vera sorpresa del film.

Giovannesi, che guarda a Mouchette di Robert Bresson, si tiene alla larga da analisi sociologiche e si concentra su due anime ribelli, inermi e pure, terribilmente romantiche, incastonate in corpi in fuga (come le gioiose pazze di Virzì) che si cercano, si sfiorano, si desiderano e si prendono. Con un finale che mantiene ogni promessa e rappresenta la felice sintesi del punto di vista adottato dal regista. “Il finale è stato il punto di partenza di un film – ha raccontato il regista – dove tutto è osservato dal loro punto di vista. Per gli adolescenti non esiste il futuro, ma solo il presente, e l’amore trionfa sulla legge. Ho trascorso sei mesi con i ragazzi del carcere, la scrittura del film è nata con loro, per me è stata un’esperienza fortissima. Ho visto con i miei occhi l’innocenza dell’adolescenza che nessun reato potrà mai cancellare”.

“Ho 20 anni, ma sono già padre di una bambina spettacolare  – aggiunge Josciua Algeri – e ho trascorso due anni in carcere, dai 16 ai 18. Fino a qualche giorno fa i miei problemi con la giustizia mi impedivano persino di lasciare l’Italia. Nella mia vita ho vissuto delle brutte esperienze, sono un figlio della strada, da cui spesso non nasce niente, e invece eccomi qua. Vorrei continuare a fare l’attore, sto provando a trasformare la mia sfortuna in una risorsa e spero di essere un buon esempio per tanti ragazzi come me”. “Mi sento come un fiore che è sbocciato – ha concluso Daphne Scoccia, che prima faceva la cameriera in un ristorante e ha molto in comune con il suo personaggio – e in nome della verità che volevamo raccontare ho imparato ad affrontare molti aspetti di me che mi spaventavano”.


Alessandra De Luca