L’occhio della gallina – Recensione

Vi diciamo la nostra sul doc di Antonietta De Lillo, autoritratto della regista e produttrice in anteprima alle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori

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È la storia di una regista che non riesce a vedere distribuito come merita il suo film più importante, e dell’odissea burocratico-giudiziaria che le impedisce, per i successivi vent’anni, di realizzare un nuovo lungometraggio di finzione. Ma è anche la storia di un’autrice che, alla marginalità, risponde non col silenzio ma con un fiume di idee e progetti, alternativi per necessità e per vocazione a un sistema e alle sue disfunzioni. È la storia, unica e insieme emblematica, di Antonietta De Lillo, nell’autoritratto L’occhio della gallina, da lei scritto, diretto e prodotto con la sua Marechiarofilm (fondata nel 2007) e passato in anteprima il 1° settembre alle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori.

Con questa ora e mezza (ma in realtà c’è materiale per un’edizione estesa di quattro ore, magari una miniserie, perché no?) di viaggio nel proprio vissuto professionale e umano, tra immagini dei lavori per lo schermo (comprese testimonianze del backstage, della promozione e ricezione), video familiari, interviste di ieri e di oggi, la cineasta ha dato effettivamente corpo al suo «film sulla difficoltà di fare un film»: quello che, disse al Festival di Torino nel 2015, avrebbe potuto realizzare di fronte all’impossibilità di dare luce all’adattamento del libro Morta di soap di Adele Pandolfi, progetto che ottiene un punteggio idoneo per il finanziamento nel 2009 ma non è stato ancora finanziato.

Ed eccolo, allora, il film sulla difficoltà di fare un film nell’Italia di oggi, che su quel contributo più lento ad arrivare dell’assoluzione nel celebre Processo kafkiano ci offre la versione della regista e produttrice, esponendo a supporto le sentenze sin qui emesse sulla vicenda, sin qui nove, di cui solo una ha dato ragione al Ministero della Cultura (poi annullata in secondo grado dal Consiglio di Stato).

Prima ancora, c’è la lunga e a dir poco sofferta parabola de Il resto di niente, trasposizione del romanzo di Enzo Striano con una memorabile Maria de Medeiros nel ruolo di Eleonora Pimentel Fonseca, protagonista della Rivoluzione e Repubblica partenopea del 1799, un esperimento di libertà e uguaglianza ancora attualissimo (e soffocato nel sangue dalla restaurazione dei Borbone). Sette anni di attesa prima di poter iniziare le riprese, un altro stop nel 2002 e poi, finalmente, il debutto Fuori concorso nel 2004 alla Mostra del Cinema di Venezia.

Stavolta, insomma, un film (pur «faticoso, travagliato», ricorda De Lillo) nasce, ma (al netto del plauso critico, del Premio Flaiano alla sceneggiatura, delle 5 candidature ai Nastri d’argento e delle 3 ai David di Donatello, oltre che dell’apprezzamento espresso persino dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi) la sua vita distributiva è un’altra odissea. Con la cineasta che cita per cattiva distribuzione l’Istituto Luce (le copie fornite agli esercenti, racconta, erano meno di quelle previste), ricevendo in risposta una richiesta di risarcimento danni per diffamazione da 250.000 euro (il Tribunale Civile di Roma respinge entrambe le istanze).

Proprio l’esperienza chiave, nel bene e nel male, del film con Maria de Medeiros (che in una bella intervista a De Lillo, inedita e retrospettiva, ripercorre a sua volta gli ostacoli, diffidenze e ostilità incontrati nel suo stesso percorso da regista in patria), fa da spina dorsale all’intera narrazione de L’occhio della gallina. Le sequenze della carcerazione e processo alla rivoluzionaria napoletana del Resto di niente si alternano alla ricostruzione, rigorosa come un pezzo di (auto)giornalismo d’inchiesta, delle traversie distributive, produttive e giudiziarie incontrate dalla regista. E non è certo un caso se l’autoritratto di De Lillo inizia rievocando un’altra sequenza chiave del lungometraggio su Fonseca Pimentel, quella dell’esibizione all’Arcadia, impatto traumatico con un contesto culturale dove le donne (specie se fuori dal coro) sono “figurine” da non prendere, comunque, troppo sul serio.

Ma la denuncia è solo un aspetto del doc di De Lillo, che scorre come un flusso dove l’informazione non va mai a scapito della tensione emotiva. Potremmo dire che la regista applica su di sé uno sguardo per certi versi analogo a quello dei suoi video-ritratti negli anni ’90, dove dichiaratamente cercava di «trarre un sentimento da persone vere», colte nella loro lotta quotidiana per «non lasciarsi schiacciare dalla catena di montaggio».

Ed è la stessa resistenza in cui si misura la regista-protagonista, e i sentimenti che ci rimanda sono molteplici: la rabbia e la frustrazione per il «non senso» di una situazione in cui si (di)batte da ormai vent’anni, ma anche e soprattutto la tenerezza e il calore degli affetti, dalle figlie Carolina De Lillo Magliulo ed Elisabetta Giannini (coinvolte nella realizzazione del doc) ai colleghi e amici (come Daniele Vicari o l’attuale Delegato Generale delle GdA Giorgio Gosetti) che non fanno mancare il loro supporto.

E poi c’è quell’ironia graffiante e insieme leggera (anche nel dramma venato di grottesco) che è un tratto chiave della poetica di De Lillo, sempre e comunque aperta a giocare, anche molto seriamente, con la realtà senza chiusure o preconcetti di sorta: ce lo ricordano gli scatti (nasce fotografa, la futura cineasta: con le immagini, dirà, «ci sapevo fare, mi sentivo a mio agio, mi sentivo utile») e i film di una carriera quarantennale che ci scorrono davanti, da Una casa in bilico diretto nel 1985 con Giorgio Magliulo (e Nastro d’argento alla Miglior opera prima) a opere recenti come Il Signor Rotpeter (2017) con Marina Confalone (un titolo kafkiano, non casualmente) e Oggi insieme domani anche (2015), suo secondo esperimento di film partecipato (ora ne è in cantiere un altro, L’uomo e la bestia).

Ed è, forse, in questa ricchezza e vitalità espressiva la prima e vera vittoria della regista. L’occhio “alla rovescia” della gallina (che da piccola la spaventava, credendola una sua allucinazione) è anche il suo: proficuamente e ostinatamente in direzione contraria, senza nascondere la fatica ma senza arrendersi, malgrado tutto, al silenzio.

RASSEGNA PANORAMICA
4 Stars
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