Melbourne, di Nima Javidi

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Iran 2014, Regia Nima Javidi Interpreti Peyman Moaadi, Negar Javaherian Sceneggiatura Nima Javidi Produzione Javad Norouzbeigi Distribuzione italiana Microcinema Durata 1h e 33′

Peyman Moaadi, attore di Una separazione, Premio Oscar 2012 come miglior film straniero, è il protagonista di Melbourne di Nima Javidi, regista esordiente classe 1980. Anche qui in primo piano c’è il rapporto di coppia, ma questa volta per parlarci del rapporto di ciascuno di noi con l’inquilino della porta accanto, quel vicino che mai come oggi è stato così lontano, straniero ed estraneo. Per raccontarcelo ci porta all’interno di un palazzo, nell’appartamento di due giovani che vivono in un condominio di esistenze intrecciate e divise dell’Iran odierno. Amir e Sarah trascorrono le ultime ore nella loro casa prima della partenza per Melbourne, prima di prendere il volo per un altro mondo lasciandosi alle spalle non solo l’Iran, ma la vita che fino a quel momento hanno condotto. I due stanno facendo i bagagli, spogliando la casa di ogni oggetto, e di ogni affetto, quando un drammatico imprevisto fa saltare tutto in aria: la bambina di pochi mesi affidata loro dalla babysitter dei vicini non sta semplicemente dormendo nel letto, non respira più. Quello che doveva essere un favore fatto da Sarah (Nagar Javaherian) alla vicina di casa, partita per risolvere un’emergenza, si trasforma in una condanna senza appello per la bambina e per la coppia. Il viaggio dei due protagonisti non comincerà più dall’aereoporto, ma dalla loro casa, denudata di ogni aspetto personale, ridotta a un aereoporto privato dove i condomini arrivano e partono, portando ciascuno il proprio bagaglio di affetti e svuotandolo alla presenza di questi due viaggiatori inerti e inermi di fronte alla tragedia di una morte di cui non hanno colpa, ma di cui qualcuno chiederà conto.

Girando la pellicola in un unico ambiente, per giunta spogliato di qualsiasi elemento, Javadi affronta una grande sfida: trasmettere il movimento narrativo e lo smottamento interiore dei personaggi facendo ricorso a un mezzo non-visivo: il suono. La staticità dell’ambiente si lega al movimento del mondo sonoro. E suoni e rumori diventano il terzo “visibilissimo” protagonista della storia. Come ha affermato Javadi durante l’intervista a latere della proiezione, nei primi 2/3 del film ascoltiamo i suoni della società moderna – cellulari che squillano, computer, citofoni, campanelli – mentre nel finale entrano in scena i suoni e i rumori dell’essere umano e della sua coscienza, l’affanno, il vomito, il pianto. Che suggella l’epilogo del film, decollando attraverso il nero dello schermo e dell’animo umano. Il finale è il momento della scelta, ci dice Javidi, delle decisioni che ogni individuo deve prendere per poter partire e ripartire, un momento universale che prescinde dall’epoca in cui gli uomini agiscono. Nonostante l’impressione di molti spettatori, il film non ha un finale aperto e Javadi ci tiene a sottolineare di aver dato risposta a tutte le domande. La sensazione di non-chiusura non riguarda, quindi, il racconto in se, ma lo spettatore, che, volutamente, resta con alcuni interrogativi interiori: cosa avrei fatto io al posto di Amir e Sarah? Cosa avrei scelto tra una responsabilità che inchioda al passato e una fuga che lascia aperto il futuro?

 

Flaminia Chizzola