Storia della Mostra del Cinema di Venezia. Gli anni 2010-2021

Il nostro racconto della Mostra di Venezia si conclude con il periodo più recente, dal decennio di Hollywood, del digitale e del Messico alla prova del Covid.

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Il secondo decennio dei Duemila si apre con un’edizione difficilissima per la Mostra di Venezia. Di «situazione disastrosa» nel 2010 parla l’allora Presidente della Biennale Paolo Baratta, a causa soprattutto delle cattive condizioni in cui riversano molti degli spazi: emblematico il «grande buco» aperto dal cantiere per la costruzione del nuovo Palazzo del Cinema, che si ferma nel 2011 in seguito alla denuncia  del Codacons per la presenza nell’area di amianto.

Malgrado questo e altri problemi, il direttore Marco Müller termina il suo mandato con tanti film spesso di qualità, internazionali e italiani: nel 2010, tra gli altri, abbiamo Noi credevamo di Mario Martone e Il cigno nero di Darren Aronofksy (ma la giuria presieduta da Quentin Tarantino incorona Somewhere di Sofia Coppola). L’anno successivo ci sono invece Carnage di Roman Polański, il discusso A Dangerous Method di David Cronenberg, il pugno dello stomaco Shame di Steve McQueen (Coppa Volpi a Michael Fassbender), il profetico Contagion di Steven Soderbergh e il Leone d’oro Faust di Aleksandr Sokurov.

Il ritorno di Alberto Barbera (che nel frattempo ha diretto il Museo Nazionale del Cinema) porta con sé non poche novità: tra queste, l’apertura del Venice Market all’Excelsior e l’avvio di Biennale College Cinema, laboratorio permanente per il sostegno e la formazione di nuovi talenti (i progetti presentati alla prima edizione sono oltre 400). Si interviene anche sulle location, col restauro della Sala Grande e della Sala Darsena e finalmente, nel 2016, la copertura del “buco” tra Palazzo del Cinema e il Casinò, con la realizzazione di una nuova struttura, la Sala Giardino.

Intanto prosegue il rafforzamento del rapporto con Hollywood: il palmarès del 2012 vede affermarsi The Master di Paul Thomas Anderson, Leone d’argento e Coppa Volpi ex aequo ai protagonisti Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman (ma il Leone d’oro se lo aggiudica il coreano Kim Ki-duk con Pietà). E, proprio negli anni Duemiladieci, la Mostra assurge a «luogo benefico e portafortuna» (scrive Brunetta nel suo racconto della manifestazione), sottraendo terreno a Toronto e Cannes.

Sono diversi, infatti, i film presentati e premiati al Lido che poi trionfano agli Oscar. A partire da Gravity di Alfonso Cuarón, apertura del 2013 (anno del passaggio al digitale delle sale italiane), poi vincitore di 7 statuette dell’Academy tra cui Miglior regia. Tocca poi a Birdman (2014) di Alejandro González Iñárritu (4 Oscar tra cui Miglior film) e Il caso Spotlight di Tom McCarthy (2015, altro Oscar al Miglior film), e per pochissimo La La Land (Coppa Volpi nel 2016 a Emma Stone) non si aggiudica la statuetta principale (ottenendone comunque 6, tra cui quella al regista Damien Chazelle).

Dei titoli citati, due su quattro sono diretti da autori messicani, esponenti di una vitalissima ondata di cineasti che continuerà ad imporsi tra il Lido e l’Academy, con i Leoni d’oro La forma dell’acqua di Guillermo Del Toro (2017, Oscar al Miglior film) e Roma di Cuarón (2018, 3 Academy Awards), primo film Netflix a vincere nella Mostra che si apre alle piattaforme digitali.

Che questa Venezia voglia non solo inseguire ma anticipare le trasformazioni dell’industria lo dimostra poi la nascita, nel 2017, della sezione dedicata alla realtà virtuale. Senza perdere interesse verso la memoria del cinema che fu (portata avanti dalla sezione Venezia Classics) e verso film e autori meno mainstream, ben rappresentati in sezioni come Orizzonti, Settimana Internazionale della Critica e Giornate degli Autori, nonché in grado più volte di scalare la vetta del Concorso principale. È il caso del venezuelano Ti guardo di Lorenzo Vigas (2015), e del filippino The Woman Who Left di Lav Diaz (2016), già acclamato frequentatore della Mostra con i suoi lavori dalla durata fluviale.

Quotazioni in rialzo anche per il cinema italiano: tra esordi folgoranti (L’intervallo di Leonardo di Costanzo, 2012) e autori in crescita, da Susanna Nicchiarelli, vincitrice di Controcampo Italiano nel 2009 con Cosmonauta e poi Premio Orizzonti con Nico, 1988 nel 2017, a Luca Guadagnino, che dopo il debutto al Lido con The Professionals vi torna a più riprese (nel 2019 con Suspiria) affermandosi sempre più come firma cosmopolita di primo piano. Ma soprattutto, l’Italia sale al gradino più alto del podio nel 2013 (per la prima volta dopo quindici anni) grazie a Sacro GRA di Gianfranco Rosi, in un’annata che vede un’inedita affermazione dei documentari (tra cui At Berkeley di Frederick Wiseman e Che strano chiamarsi Federico di Ettore Scola, Leone d’oro alla carriera di quell’anno).

L’ultimo anno prima del Covid segna invece una nuova tappa dell’intesa con Hollywood, col premio principale a Joker, cinecomic anomalo (tanto da sembrare più un noir o un pamphlet socio-politico) e fra i titoli di punta della stagione. Dal 2020 il nuovo presidente della Biennale è Roberto Cicutto, già produttore (anche del Leone d’oro La leggenda del santo bevitore) e alla guida di Istituto Luce Cinecittà.

Poche settimane dopo la nomina, l’Italia entra in lockdown a causa della pandemia di Covid-19. È una delle maggiori sfide (non solo) per la Mostra, che risponderà con un’edizione 2020 coraggiosa, in grado di conciliare le misure sanitarie col ritorno alla condivisione della cultura in presenza e di proporre una selezione ricca, con un altro Leone d’oro lanciato verso l’Oscar, Nomadland di Chloé Zhao.

Segue quella che Brunetta definisce la «Mostra della Rinascita», col ritorno dei divi hollywoodiani (al seguito dei blockbuster Dune e The Last Duel), ma anche tanto cinema d’autore (e d’autrice) dentro e fuori il palmarès, dal Leone d’oro L’événement di Audrey Diwan a Qui rido io di Martone, passando per il sorrentiniano È stata la mano di Dio e Il buco di Michelangelo Frammartino. Un buon inizio per un futuro dove la Mostra, scrive e auspica Brunetta, si candida a confermarsi «santuario laico per migliaia di pellegrini vecchi e nuovi» e «osservatorio avanzato nonché guida alle nuove frontiere della civiltà della visione».