Diretto da David Lowery, anche autore della sceneggiatura insieme a Jack Thorne, il corto dal 15 novembre su Disney+ nasce da una storia scelta – e prodotta – da Alfonso Cuarón, Leone d’Oro a Venezia nel 2018 e vincitore di quattro premi Oscar. Ma quella di An Almost Christmas Story è una vicenda che lo stesso regista messicano ha scelto di raccontare al Tokyo Film Festival 2024, in un interessante incontro nel quale si è parlato di cinema e spaziato molto, arrivando a toccare la recente serie tv Disclaimer (da lui scritta e diretta) e a citare alcuni dei suoi registi preferiti, Mestri immortali e contemporanei da non perdere.
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Protagonista, nello specifico, un giovane gufo coraggioso, finito per caso nel centro di New York nel pieno dei festeggiamenti del Natale e costretto a cercare faticosamente un modo per tornare a casa dalla famiglia. 21 minuti nei quali si susseguono momenti emozionanti e strani incontri, ma che soprattutto segna l’esordio nell’animazione del regista di Storia di un fantasma, Old Man & the Gun, Sir Gawain e il Cavaliere Verde o il recente Peter Pan & Wendy. Il primo dei filmmaker citati da Cuarón, prima di spaziare da Chaitanya Tamhane, da lui prodotto nel 2020 per The Disciple (“lo ammiro da quando ho visto Court, il suo primo film”), al Juho Kuosmanen di Compartment No. 6 (“quando ci siamo sentiti mi ha mandato il suo primo film, un corto incredibile“) e ai cosiddetti ‘Grandi Maestri’ (“come cineasta è importante vederne i film, se non ti connetti con loro rischi di diventare vecchio molto rapidamente“).
Un cortometraggio nel quale con Alfonso Cuarón – nel 2022 produttore per Disney anche del Le pupille di Alice Rohrwacher – ritroviamo anche il John C. Reilly già protagonista di quello di Luca Guadagnino, il natalizio O Night Divine. E che prende spunto dalla realtà, da quanto accaduto a New York, dove è nota la tradizione di allestire un enorme albero di Natale al Rockfeller Center
“Ho preso spunto da una storia realmente accaduta che avevo sentito e letto, la storia vera di un gufo rimasto incastrato nell’albero del Rockfeller Center. che è stata il punto di partenza di una piccola storia, che ho condiviso con Jack Thorn, un grande scrittore. Lui ha scritto la prima bozza della sceneggiatura, e poi l’ha passata a David – ha raccontato il protagonista dell’evento. – Ma a essere sinceri era un mio desiderio egoistico, perché io voglio collaborare con i registi che ammiro e questa era l’opportunità di lavorare con Lowery“.
Aveva mai girato film d’animazione prima d’ora?
No, mai, ed è stata parte dell’emozione di realizzare questo corto. Che in origine lui pensava di fare in stop motion, impossibile per motivi di tempo e di logistica. La cosa interessante che ha fatto è stato realizzare un’animazione 3D, digitale, con la quale cercare di ricreare non tanto lo stop motion, ma un approccio più artigianale, anche nelle scenografie, usando il cartone e contrapponendole a vere e proprie scenografie fisiche.
In definitiva, l’idea è stata sua o di Lowery?
Credo sia stata una conversazione che abbiamo avuto, e inizialmente l’impegno era per fare un corto live action, ma abbiamo presentato l’idea alla Disney e gli è piaciuta.
È qualcosa di diverso dalle solite animazioni, merito di David?
Completamente. Ha voluto ricreare la sensazione della stop motion che faceva da bambino, da adolescente, quando usava i cartoncini, e ha voluto portare quello spirito nella storia.
Merito suo anche la presenza di John C. Reilly, giusto?
Sì, è stata un’idea di David. Voleva avere questo tipo di narratore, un narratore che cantava, un artista di strada che fungesse da coro e apparisse di tanto in tanto. E John ha anche realizzato le musiche delle sue canzoni.
Era nel corto di Zara di Guadagnino, c’è una relazione?
Immagino che gli piacciano i corti… O che i registi amano John C. Reilly, molto.
Dopo Venezia, avete presentato Disclaimer anche a Tokyo, una esperienza importante anche per un motivo molto particolare, quale?
Sì, quando ho letto le bozze deil libro, molti anni fa, prima che venisse pubblicato, avevo visto immaginato un film nella mia testa, ma non sapevo come realizzarlo in un formato convenzionale per il cinema. Solo in seguito ho pensato di potermi riavvicinare al tema facendone una serie, perché sono sempre stato incuriosito dal lavoro di maestri che ammiro – dal Fassbinder di Berlin Alexanderplatz, il Bergman di Fanny e Alexander, il David Lynch di Twin Peaks e ultimamente il Bruno Deumont di P’tit Quinquin – e pensavo che questo fosse il formato perfetto per vederlo sullo schermo.
Quanto agli altri, proprio qui raccontava di aver visto Cadet del kazako Adilkhan Yerzhanov…
Spero che molti possano vederlo. Lui l’ho conosciuto in Finlandia, al Midnight Sun Film Festival, e quando mi ha mandato il suo film gli ho subito scritto dicendo che era incredibile e se avessi il permesso di condividerlo con i miei amici registi come Guillermo del Toro e Pavel Babikov. Tutti ammirano molto il film, e spero che possa essere scoperto da un pubblico più ampio, come il suo regista, perché è uno di quei rari film che mostra uno sguardo chiaro di un autore maturo che attraverso la storia dell’orrore esprime preoccupazioni universali, ma allo stesso tempo molto specifiche, in un film sul suo paese e sul sistema patriarcale senza mai essere predicatorio o didattico.
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Nel suo gotha non mancherà Arturo Ripstein?
Sono cresciuto con il suo cinema e vedendo l’impegno con cui l’ha sempre visto. Credo sia stato un regista fondamentale, per il suo linguaggio, per il suo essere sempre interessato alla condizione umana e per un punto di vista non compromesso. Ha iniziato la sua carriera molto giovane e credo che avesse 19 o 20 anni quando ha diretto il suo primo film, Tiempo de Morir, basato su una sceneggiatura di Gabriel García Marquez prima che scrivesse “100 anni di solitudine”. Quando gli dissi che quello era il mio preferito tra tutti i suoi film, non gli piacque che glielo avessi detto.
Tra i film giapponesi, di recente ha visto qualcosa che le è piaciuto?
Sono un grande fan dei film giapponesi di serie B degli anni ’70, in particolare quelli crime, di Yakuza, li adoro, ma ultimamente ho rivisitato i Maestri, perché sono una fontana inesauribile, impari sempre qualcosa da Ozu o da Kurosawa, che ultimamente ho fatto conoscere a mio figlio. E poi un film di Miike di qualche anno fa, Proteggi l’assassino – Shield of Straw, molto diverso dagli altri suoi e nel quale ho trovato qualcosa di simile, per molti versi, a M di Fritz Lang.
Presentato An Almost Christmas Story, cosa farà dopo Disclaimer?
In realtà non c’è ancora un “prossimo progetto”… Dopo aver lavorato per così tanto tempo, in un progetto così lungo, che ha richiesto così tanto tempo per essere realizzato – perché siccome non sapevo girare per la tv e l’ho girato come un film, ma non sono molto veloce nelle riprese – ora voglio fare qualcosa di una lunghezza normale, anzi qualcosa di decisamente più breve, sui 90 minuti.