The New Toy e il ‘baroncino’ rampante di James Huth: «Dobbiamo ripensare la società»

Parla il regista del film con Daniel Auteuil e Jamel Debbouze

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James Huth The New Toy

Lo si aspettava da tempo, per quanto quello di James Huth sia un remake annunciato – del Professione… giocattolo del 1976 di Francis Veber, con Pierre Richard – ma il suo Le nouveau jouet (The New Toy) sarà nelle sale italiane dal 1 novembre, distribuito da Europictures. Un film nel quale al giovanissimo protagonista Simon Faliu si affiancano Daniel Auteuil e Jamel Debbouze in una serie di duetti imperdibili, che caratterizzano e rendono ancora più godibile un film nel quale la questione sociale e la paternità restano centrali, come anche certe preoccupazioni per il futuro delle quali ci parla lo stesso regista, incontrato alla Festa del Cinema di Roma 2023, dove il film è stato inserito nella sezione Alice nella Città.

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Ho deciso di fare questo film per l’attualità delle tematiche del film di Veber, oggi sempre più forti – dice il regista, relativamente al film del 1976. – Ma avevo visto lo spazio di trattare questi temi attraverso il genere della commedia familiare, attraverso un tema che pure c’era nell’originale, ma nel quale Veber aveva privilegiato altri aspetti: il tema della paternità. Di cosa significhi essere padre e misurarsi con un figlio“.

Inevitabile partire però dalla questione sociale…

Mi ha colpito talmente tanto da voler fare una satira durissima, al vetriolo, di quel film, di quello che era la società degli anni 70. Questo è comunque  un film positivo al di là del divario ancora esistente tra ricchi e poveri, perché ci sono cose che ancora accomunano l’umanità. Oggi la corsa al denaro, ad accaparrarsi le ricchezze è ancora più esacerbata, i nostri sistemi funzionano come allora, ma il futuro dice che tra 100 anni l’Africa vedrà quadruplicata la sua popolazione, l’India raddoppiata, mentre l’Europa crescerà solo dello 0,7… Se io fossi un africano, tra 50 anni chi mi impedirebbe di andare in Europa? Sarebbe assolutamente naturale. Bisogna ripartire pensando al concetto di ridistribuzione della ricchezza, che non resti concentrata nelle mani di pochi, di decrescita felice, di rallentamento dello stile di vita, di cercare di godere di quel che si ha e del prendere coscienza della necessità di ripensare le nostre società, perché questa è l’unica speranza di sopravvivenza per un domani. Il film resta ottimista perché davvero la speranza è nelle mani di un bambino come Alex, che alla fine del film dice “io le cose le farò diversamente, a modo mio”.

Qualche differenza con l’originale, c’è

Nel film di Veber il “giocattolo” è un giornalista e non un uomo delle banlieue, che col bambino crea un giornale, un giornale diverso, per denunciare il padre, un ruolo che oggi non hanno più i giornalisti, ma i social network, che sono ancora più pericolosi, tanto che nell’arco di pochi istanti sono in grado di distruggere una vita. Qui invece il percorso fatto con Sami, il viaggio che fa conoscere ad Alex una realtà diversa dalla sua, quella delle banlieue appunto, verosimilmente lo porterà – quando sarà lui l’uomo più ricco di Francia – ad agire in modo diverso.

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E la citazione del Barone rampante?

Non era nel film originale, è una idea mia, perché quando abbiamo avuto l’idea dell’albero con mia moglie, il riferimento è stato subito Italo Calvino. Ci piaceva che Sami leggesse, avesse questo lato intellettuale. Era forte, come avere Calvino nel film. Nei film che fai c’è la tua stessa cultura, ma certi riferimenti spesso li vedi solo dopo averli fatti. In questo caso, invece, scrivendo la sceneggiatura, ci abbiamo pensato mentre lavoravamo al suo pensare alla madre sugli alberi… Ci sono libri che non dimentichi mai, che costituiscono la tua base culturale.

Come si sono trovati insieme tre attori di generazioni così diverse?

Ciascuno degli attori è stato impressionante, a partire da quello che è il più grande attore francese, Daniel, che è stato molto generoso e capace di rivivere le emozioni dell’infanzia, con Simon, ma anche con Jamel. Lui ha una grazia incredibile, alla Chaplin, che lo ha legato a Simon e che ha impressionato anche Daniel al punto che io sentivo di avere tre attori che giocavano, come tre ragazzini, quattro contando anche me. Non solo per il saper conservare quell’idealismo, ma di accettare la capacità di stupirsi. È fondamentale tenere vivo il bambino dentro di noi, e non per negare le responsabilità che si hanno come adulti.
Io ho cinque figli, Daniel mi pare quattro, ma dovremmo verificare, Jamal due e Simon… verificheremo anche con lui, e anche questo ci ha unito.
Una cosa che mi ha sorpreso sta proprio nel fatto di non aver mai avuto un pubblico così ampio: mi è capitato di partecipare a proiezioni nelle quali c’erano un bambino di tre mesi e una persona di 98 anni. E il motivo è proprio la compresenza di queste tre generazioni, unite dalla capacità di emozionarsi. Quelli che trattiamo sono temi molto duri, ma dalla visione del film si esce sicuramente con delle emozioni positive.