ADDIO AL GRANDE MANOEL DE OLIVEIRA, 106 ANNI E FINO ALL’ULTIMO SUL SET

0

Si è spento oggi il grande regista portoghese Manoel De Oliveira: aveva 106 anni, trascorsi fino all’ultimo sul set

Quando Manoel De Oliveira è nato, nel 1908, il cinema esisteva ufficialmente solo da 13 anni. Quando ha girato il suo primo cortometraggio documentario, Douro, lavoro fluviale, il sonoro era da poco comparso nelle sale. Per questo è impossibile non stupirsi pensando che De Oliveira ha girato il suo ultimo film breve, O velho do restelo, appena l’anno scorso e che stesse lavorando al prossimo La chieda del Diavolo proprio a pochi giorni dalla morte: la sua vita, come quella di nessun altro, ha coinciso con la storia del cinema. Ho incontrato Manoel De Oliveira la prima volta a Padova, nel 2002, quando l’Università gli ha conferito una laurea honoris causa. Aveva 94 anni, e ricordo di aver pensato, come tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, che raramente avevo incrociato tanta energia creativa anche in autori più giovani. De Oliveira aveva appena presentato in concorso a Cannes il suo Il principio dell’incertezza e stava lavorando all’altrettanto bello Un film parlato, con John Malkovich, Catherine Deneuve, Irene Papas e Stefania Sandrelli, un lungo viaggio per mare attraverso i valori e i miti della cultura mediterranea: nella loro classicità, dei film coraggiosi. Quello di De Oliveira, come spiegò lui stesso quel giorno a Padova, è un cinema “umanista”, instancabilmente assetato nell’esplorare l’animo umano e rappresentare la vita con le sue convenzioni. Tenendo sempre a mente, però, che quella che scorre sullo schermo non è la realtà: per questo De Oliveira non smise mai di interrogarsi sul linguaggio del cinema, pur fondendo sempre la ricerca sulla forma con la riflessione esplicita su temi universali, come lo scorrere del tempo, i ricorsi della Storia, le ineluttabili trasformazioni della contemporaneità (emblematico il suo corto del 2008 Do visivel ao invisivel, in cui due amici che s’incontrano per caso per strada non riescono a parlarsi se non chiamandosi al cellulare uno di fronte all’altro).

Anche se il suo primo lungometraggio Aniki Bobò risale al 1942, il suo cinema raffinato, letterario, dotato di grande ironia, è stato riconosciuto nei grandi festival solo a partire dagli anni ’70, quando cioè De Oliveira aveva già superato i 60 anni. E questa tardività del successo gli ha permesso di sviluppare prima molte altre passioni: le sue note biografiche ci ricordano che era un appassionato di corse automobilistiche, che si occupò di viticoltura e dell’azienda di famiglia, soprattutto che fu un convinto oppositore del regime di Salazar e anche per questo viaggiò molto, pur restando sempre tenacemente legato al suo Portogallo, anche nell’anima profonda del suo cinema. Chi non conoscesse i suoi film, provi a esplorare il suo stile guardando Francisca (1981), La divina commedia (1991), Ritorno a casa e Porto della mia infanzia (entrambi 2001), il teatrale Gebo e l’ombra (2012). Un piccolo assaggio per scoprire che per De Oliveira, come per tutti i grandi artisti, l’età anagrafica non ha nulla a che fare con la giovinezza artistica.

Elisa Grando