“BARRY LYNDON”, IL RITORNO DI UN MITO: 10 COSE DA SAPERE

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A 40 anni (e vedrete che non li dimostra) dalla sua produzione, torna a partire dal 12 gennaio in 70 sale italiane Barry Lyndon, in una magnifica edizione restaurata dalla Cineteca nazionale di Bologna. Ecco 10 cose da sapere assolutamente su uno dei capolavori di Stanley Kubrick (1928-1999), l’uomo del Bronx che si trasferì in Inghilterra.

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Stanley Kubrick sul set di Barry Lyndon

1)  Praticamente Barry Lyndon nacque come un ripiego. Frustrato dai suoi annosi e mai soddisfacenti tentativi di ridurre in soggetto e poi sceneggiatura un film su Napoleone, Kubrick, che dopo lo scandaloso fantasociologico Arancia Meccanica puntava a confrontarsi con la Storia e sui modi di raccontarla, scovò nella sua vasta biblioteca inglese, tra i volumi del grande scrittore (e giornalista) William Makepeace Thackeray (1811-1863), The Luck of Barry Lyndon, scritto nell’ottobre 1843 e poi pubblicato a puntate su rivista nel 1844. Era praticamente la storia dell’ascesa e del declino dell’irlandese Redmond Barry, dipanata lungo gran parte del ‘700.

2)  Barry Lyndon è quello che viene comunemente definito un romanzo picaresco, con protagonista un (più o meno) simpatico gaglioffo alle prese con le peripezie della lotta per la sopravvivenza e per guadagnarsi un posto al sole. Kubrick lo scelse e lo utilizzò come falsariga: avrebbe seguito grosso modo gli avvenimenti narrati per farne un affresco dell’epoca e contemporaneamente reinventare il modo di ricostruire e filmare il passato. Come aveva dichiarato: «Non ci sono mai stati grandi film storici…non credo si sia risolto efficacemente il problema di un trattamento dell’informazione storica che, allo stesso tempo, sia in grado di trasmettere il sentimento della realtà della vita quotidiana dei personaggi ».

3)  Cominciò così il suo consueto, massacrante e pignolo lavoro di adattamento e riscrittura su riscrittura. Alla fine, molte e notevoli le differenze tra romanzo e sceneggiatura. Tra le più evidenti, fu eliminata la struttura a flashback per approntare una storia più cronologicamente lineare. Poi fu significativamente ritoccata la durata entro cui si svolge la vicenda: il film si chiude sulla data simbolica del dicembre 1789, il romanzo al contrario evita qualunque riferimento alla Rivoluzione Francese e le memorie del narratore arrivano sino al 1814. Inoltre, tra le tante modifiche, oltre a semplificare il numero dei personaggi fondendo magari caratteristiche di due in uno, cambia radicalmente la figura del figliastro Bullington: nel romanzo il giovane (descritto peraltro con caratteri positivi) sfugge a Redmond arruolandosi nelle truppe inglesi in guerra in America per tornare poi, creduto morto, giusto alla fine, nel film è un nevrotico succube della madre per cui Kubrick si inventa genialmente un duello resa dei conti.

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Ryan O’Neal

4)  Molto curiosa e accurata fu anche la scelta del cast. Scartata l’idea di ricorrere a star come Robert Redford (come si vociferava), Kubrick optò invece per la parte del protagonista su Ryan O’Neal (doppiato in Italia da Giancarlo Giannini), divo lanciato da Love Story e assai simpatico in commedie di Peter Bogdanovich come Ma papà ti manda sola? e Paper Moon. Fu una scelta azzeccatissima (che lui sempre rivendicò), perché agli affascinanti lineamenti del rubacuori irlandese si accompagnavano anche certe mollezze e sfumature perfette per sottolineare la passività morale di Redmond Barry. Così come altrettanto giuste furono le scelte della diafana, aristocratica e affascinante Marisa Berenson (doppiatore Melina Martello) in Lady Lyndon e quella del sommo attore teatrale Patrick Magee (doppiatore Alberto Lionello), già con Kubrick in Arancia meccanica e qui nei panni dell’avventuriero e protettore di Barry, Balibari. Per la cronaca in Italia la voce narrante (importante) fu affidata a Romolo Valli.

5)  Come dichiarò lo scenografo Ken Adams: «Stanley voleva che fosse una specie di documentario sul XVIII secolo ». Per cui anche in questo campo furono fatte scelte innovative quando non rivoluzionarie. Innanzitutto si girò sempre in ambienti naturali, anche se poi fu casuale che le riprese furono effettuate spesso negli stessi (o simili) territori in cui si svolge geograficamente la trama: Irlanda, Inghilterra, Germania (dell’Est). Il castello dei Lyndon, Hackton Castle, fu ricreato montando spazi di vari manieri e ville (Castle Howard, Longleat House, Petworth House, Wilton House, tra York, Bath, Chichester e Salisbury). Ma è soprattutto nella composizione delle scene che risalta il lavoro di ricerca del demiurgo del Bronx. Rivivono, vengono citati o lo ispirano, opere di celebrati pittori britannici dell’epoca, da Gainsborough (massimamente), a John Constable, da Hogart a George Stubbs e Reynolds. Il tutto per 250 giorni di lavorazione!

barry-lyndon6)  Discorso a parte va poi fatto per la fotografia di John Alcott, come scrive Philippe Pilard «Una pietra miliare nella storia del cinema contemporaneo ». Regista e mago delle immagini scelsero di girare tutto con la mera luce dell’epoca, senza fari o illuminazioni moderne. Per gli interni e i notturni si sarebbe fatto uso solo di candele! Un lavoro straordinario reso possibile dall’utilizzo di lenti particolari, adattando per la cinepresa Mitchell l’obiettivo Carl Zeiss Planar 50mm f/0,7, adoperando inoltre obiettivi a focale variabile (i cosiddetti zoom).

7)  Ovviamente altrettanto da sottolineare è il lavoro maniacale per le musiche (praticamente, a partire da 2001 Odissea nello spazio, ogni colonna sonora kubrickiana è diventata anche un evento discografico). Dividiamole in due parti: nella prima notiamo la ricchezza delle musiche interne all’azione (le cosiddette diegetiche): marce (ah, i British Grenadiers!), musica da ballo, concerti, nella seconda una scelta raffinata per commentare o enfatizzare le scene. Il curatore Leonard Rosenman, su imput kubrickiano, mescolò brani tradizionali (l’irish tune Lilliburbero del 1688) e arrangiamenti classici (la sarabanda di Haendel, leit motiv che innerva la vicenda, brani da Federico il Grande, Paisiello, Bach, più il Trio Opera 100 di Schubert, sublime ma evidentemente anacronistico visto che fu composto nel 1815).

8)  Il film non fu un successo commerciale. Piacque in Francia e in Italia, molto meno nei paesi anglosassoni dove fu criticato per “scarsa passionalità” (i riferimenti al Tom Jones di Tony Richardson si sprecarono), sia pure con molto rispetto. Lievitati i costi sino a toccare gli 11 milioni e mezzo di dollari non arrivò mai a coprire le spese.

barry lyndon9)  Ad ogni buon conto, Barry Lyndon fu ovviamente apprezzato da molta critica, vinse il premio per la Miglior Regia ai British Academy Award e 4 Oscar l’anno dopo, sia pure solo (e ci mancherebbe altro!) per categorie tecniche: Fotografia, scenografia, costumi (di Ulla Britt Soderlund e Milena Canonero) e soundtrack non originale. In più ricordiamo il David di Donatello (Europeo) nel 1977.

10) Di fatto oggi riteniamo Barry Lyndon uno dei film evento di quelle stagioni gravide di opere intense e spettacolari. Sicuramente uno di quelli dove meglio si evidenzia la costante tensione del maestro americano (emigrato in Europa) per l’uomo e la sua civiltà, magari attraverso la rivoluzione del cinema dei generi, visto che di lì a 5 anni si sarebbe tuffato anche in una riscrittura epocale del genere horror, con Shining. E ci pare significativo in questo senso anche l’epilogo che chiude il film: «Fu durante il regno di Giorgio III che i suddetti personaggi vissero e disputarono. Buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora sono tutti uguali ».

Massimo Lastrucci