CIAK LEGENDS: ALAIN DELON

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DI MASSIMO LASTRUCCI

Oggi il divo dagli occhi di ghiaccio, bellissimo e virile, rompicuori dotato di uno spleen tutto suo che lo rendeva irresistibile, nei generi popolari come nei film d’autore, compie ottant’anni. Tanti auguri Alain Delon! 

Alain DelonOttant’anni questo 8 novembre e tutti affrontati a muso duro. Perché, a dispetto delle apparenze, la vita non ha poi fatto molti sconti alla stella Alain Delon. D’accordo, la mondanità e il jet set, lo status di icona del cinema francese, gli amori straordinari, il cinema ad alto livello, ma anche un’infanzia travagliata dal divorzio dei genitori, la scelta di arruolarsi per la guerra in Indocina («Il periodo più bello della mia vita! »), gli scandali, qualcuno anche brutto – come il misterioso assassinio della sua guardia del corpo nel 1969 con un cotè di sesso, droga e violenza che lo ha coinvolto – un declino piuttosto amaro fatto di abbandoni sentimentali, le litigate con il figlio Anthony, i problemi di salute, il trasloco in Svizzera che ha indispettito i francesi, un carattere sempre più ombroso e difficile (l’opinione pubblica lo ha di volta in volta giudicato – con qualche ragione- eccessivo, provocatorio, megalomane, antipatico, reazionario, omofobo). Insomma un tramonto tanto inevitabile quanto malvissuto (l’anno scorso ha anche messo all’asta dei suoi cari ricordi – quadri, vini, armi, oggetti dai set- ad evidenziare anche la sua stanchezza e disillusione).

Alain DelonSì, meglio ricordarlo da ragazzo dagli occhi di ghiaccio e dai mille mestieri, entrato nel cinema con l’entusiasmo e la sicurezza (apparentemente guascona, ma amici e testimoni ricorderanno altresì la sua sensibilità e disponibilità di cuore) dei 20 anni (22 per l’esattezza, con Godot di Yves Allegret, 1957) e che non avrebbe più abbandonato, amato dalla macchina da presa come pochi altri, bellissimo e virile, rompicuori dotato di uno spleen tutto suo che lo rendeva irresistibile, nei generi popolari come nei film d’autore, nel meglio come anche nelle sue prestazioni di routine (e ne ha fornite, specie dopo i settanta).
Scuole di recitazione? Macché: «La sola cosa che voglio è che tu sia naturale, che parli come parli, che cammini come cammini, che tu ti vesta come ti vesti, che sia esattamente il personaggio » gli consigliò Allegret. Così fece e il set fu la sua scuola. E pochi film dopo, con Le donne sono deboli (1959) di Michel Boisrond era già diventato l’oggetto di desiderio delle francesi. L’anno dopo con Delitto in pieno sole (1960) di René Clement, avrebbe fatto capire che il noir e il poliziesco sarebbero stati il suo territorio prediletto, aldiqua o aldilà delle legge, poliziotto o criminale non importa. In Italia, oggetto di desiderio lo sarebbe diventato nello stesso 1960, tirando di pugilato per Luchino Visconti nel capolavoro Rocco e i suoi fratelli. Un’entrata dall’ingresso principale per quella che sarebbe stata quasi un’altra patria: saltando un po’ nella cronologia, lo troviamo negli anni a Roma ancora per Clement in Che gioia vivere! (1961) e poi L’eclisse (1962) di Antonioni, ancora Visconti con Il gattopardo (1963), La prima notte di quiete (1972) per Zurlini, Tony Arzenta (1973) e Zorro (1975) per Duccio Tessari.

Alain DelonMa torniamo a Rocco. A Milano, a Visconti. Là sul ring allestito al Vigorelli, ai bordi della scena, palpitava quella che era la sua fidanzatina dell’epoca, Romy Schneider («Si ha davanti a lui l’impressione di una generosità e di una delicatezza non comuni. Alain è un aristocratico…naturale. Ha qualcosa dell’Uomo del Rinascimento: da Frankie Laine è passato a Bach, non per sforzo, ma perché in lui è innato il gusto della bellezza »). Insieme, formarono la coppia più luminosa dei primi Sessanta (sino al 1964 quando sposerà Francine Canovas, poi chiamatasi Nathalie Delon) e i cui riverberi ancora si coglieranno anni dopo, nel 1969, in quel noir un po’ snob di La piscina di Jacques Deray, tra l’altro ora omaggiato da Luca Guadagnino nel remake (con variazioni) A Bigger Splash.
Negli anni Sessanta Delon è un fiume inarrestabile di fascino e popolarità. Si alterna tra commedie e drammi, noir e avventurosi, tra gli altri: Il tulipano nero (1963), Crisantemi per un delitto (1964), Parigi brucia? (1967), Diabolicamente tua (1967). Soprattutto incontra nel 1967 quello che secondo lui è il «più grande regista con cui ho lavorato », ovvero Jean-Pierre Melville, e saranno Frank Costello faccia d’angelo (1967), I senza nome (1970), Notte sulla città (1972).

Alain Delon
Jean-Paul Belmondo e Alain Delon in “Borsalino”

Chi era il grande rivale francese in patria di Delon? Ma Jean Paul Belmondo, bien sur! I due – che in realtà erano amici e avevano già lavorato insieme – fecero astutamente coppia per uno dei film più di successo dei Settanta, un vero capostipite iniziatore di mode e imitazioni: Borsalino (1970) di Deray. Nel 1972, dopo Sole rosso (1971) di Terence Young e L’evaso (1972) di Pierre Granier-Deferre da Simenon, Delon lavora con Joseph Losey, per L’assassinio di Trotsky e Mr. Klein (1976). Fu insomma decisamente un altro decennio d’oro (ricordiamo en passant anche Scorpio, 1973, Flic Story, 1975, Tre uomini da abbattere, 1980) che peraltro preludeva all’inizio del declino. Mentre Hollywood lanciava un altro tipo di spettacolo, più rutilante, ricco di effetti ed esasperazioni, Delon – la cui vita privata si incasinava vieppiù – tra tante ripetizioni del suo personaggio di uomo d’azione laconico, romantico e capace di violenza chirurgica, si cimentava nella regia (Per la pelle di un poliziotto, 1981 e Braccato, 1983) ma si faceva notare principalmente in ardimentosi esperimenti d’autore: Un amore di Swann (1984), ovvero Proust riletto da Volker Schlondorff, e Nouvelle vague (1990) una provocazione di Godard (prima volta che i due si incrociavano). Prese anche l’unico Cesar della carriera per Notre histoire di Bertrand Blier nel 1985 (il resto dei suoi premi sono tutti onorari: il David di Donatello, a Berlino, a Locarno). Il resto sarà purtroppo “roba minima” (come direbbe Enzo Jannacci): qualche titolo, le amarezze, un ritorno in coppia con un malandato Belmondo in Uno dei due (1998) di Patrice Leconte, due miniserie tv in Francia (Fabio Montale, 2002 e Frank Riva, 2003-2004), con l’ultima apparizione in Asterix alle Olimpiadi (2008, nei panni pur augusti di Giulio Cesare, sigh!). Il cinema (non solo quello francese) che negli anni Cinquanta aveva disperatamente bisogno di un Alain Delon, ora ne poteva infine fare a meno.

I SUOI TRE RUOLI CULT

IL GATTOPARDO (1963)
di Luchino Visconti, con Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa

Alain Delon - Il gattopardoDal best seller di Tomasi di Lampedusa, il declino di una nobile famiglia siciliana con l’arrivo dei piemontesi. Delon è nei panni del fascinoso erede, trasformista quasi per indole. Scrisse il critico Jacques Fieschi: “L’energia giovanile dell’interpretazione di Delon toglie al ruolo ogni traccia di didatticismo. Il corpo di Tancredi è un corpo glorioso, contemporaneamente politico e sensuale”. In effetti quando sorride a denti stretti con la benda nera a nasconderli l’occhio ferito in battaglia è magnifico, canagliesco e dominatore.

FRANK COSTELLO FACCIA D’ANGELO (1967)
di Jean-Pierre Melville, con Françoise Perier, Nathalie Delon, Michel Boisrond

Alain DelonFrank Costello, killer che ama agire da solo, dopo aver ucciso il proprietario di un night finisce sospettato e poi braccato dalla polizia, nonostante gli alibi fornitigli dalla fidanzata e da una pianista. Per molti il capolavoro del polar (il poliziesco-noir francese). In originale si intitola “Le samourai”. Come spiega la didascalia: “Non esiste solitudine più profonda del samurai, se non quella della tigre nella giungla”. Un ruolo perfetto – come nessun altro mai – per l’espressività magnetica, oscura e sottilmente malinconica del divo.

MR. KLEIN (1976)
di Joseph Losey, con Jeanne Moreau, Francine Bergé, Massimo Girotti

Alain DelonIl letterario/filosofico tema del sosia (o del doppio), applicato, su sceneggiatura di Fernando Morandi e Franco Solinas, all’occupazione tedesca di Parigi e alla persecuzione degli ebrei. Mr. Klein è un collezionista d’arte, ignobile sfruttatore delle disgrazie altrui. Un giorno scopre che c’è un ebreo (probabilmente) che agisce con la sua identità. La scoperta lo getta nel panico e il suo comportamento sempre più agitato lo renderà sempre più sospetto ai nazisti, sino alla perdizione. Al film, al regista e alla scenografia 3 Cesar, al convincente Delon, in un ruolo lontano dal suo mito, solo la stima dei critici.