Elio Germano al Corto Dorico Film Festival: «La felicità è ritrovare il senso della comunità»

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La realtà virtuale per raccontare il terremoto nelle Marche: è la sfida di  Storie dell’Appennino, la sezione del Corto Dorico Film Festival (2-9 dicembre ad Ancona e Camerino) che ha messo in campo un vero e proprio laboratorio, il primo in Italia a 360 gradi, capitanato da Elio Germano. L’obiettivo? La realizzazione di 10 film brevi con questa tecnologia d’avanguardia che possano riempire il cratere del terremoto con racconti, volti e visioni di futuri possibili.

Elio Germano, che nella prossima stagione vedremo nel film Io sono tempesta di Daniele Luchetti e Troppa grazia di Gianni Zanasi, e di nuovo in teatro con Viaggio al termine della notte, è soddisfatto del risultato, anche per il suo valore simbolico: «Dopo tragedie come il terremoto, la comunità è la prima cosa da recuperare. E questo è uno dei tentativi riusciti di rimetterla in moto su un lavoro di per sé collettivo come l’audiovisivo».

Come si è sviluppato il laboratorio?

«Un gruppo di ragazzi selezionati sul territorio, anche grazie all’Università di Camerino, ha realizzato video a 360 gradi o di realtà immersiva. Ho tenuto il laboratorio con Omar Rashid, col quale nel 2016 ho girato No Borders, il primo documentario italiano a 360 gradi, che alla Mostra di Venezia ha vinto il premio MigrArti: siamo stati tra i primi a confrontarci con i limiti e le possibilità di questo mezzo e quindi abbiamo cercato di condividere coi ragazzi quello che abbiamo imparato».

Che tipo di lavori ne sono usciti?

«I ragazzi si sono approcciati alla tecnologia in maniera molto libera, alcuni con un tono più documentaristico, altri di ricostruzione digitale. C’è stato chi ha raccontato il terremoto in maniera frontale, chi storie personali, chi il tentativo di ricostruzione. Dopo eventi drammatici come questo, anche nelle nostre vite personali, di solito si impara ad apprezzare gli aspetti più sinceri della vita, anche il rapporto di aiuto reciproco collettivo tra le persone, senza competizione».

Secondo lei quali sono le nuove possibilità più significative della realtà virtuale applicata al cinema?

«Questa tecnologia nasce dai videogiochi, quindi come l’ennesimo macchinario di allontanamento dalla realtà. Invece ha grandissime potenzialità soprattutto in ambito giornalistico e documentaristico, avendo la facoltà di farti vivere un ambiente che è da tutt’altra parte in una maniera totalizzante. A livello emotivo l’impatto è diverso da quello che abbiamo guardando la tv, anche perché oggi non siamo più coinvolti dalle immagini come 30, 40 anni fa. Anche le immagini più devastanti non ci colpiscono più. Invece grazie alla realtà virtuale si riesce a raccontare nella maniera più nuda e sincera possibile cose che di solito, sullo schermo, si raccontano tramite trucchi ed effetti, come la colonna sonora per emozionare. Con la realtà virtuale basta il fatto in sé. Spero che sia utilizzata, per esempio, per portare disabili in posti inaccessibili, o per far capire le conseguenze di una guerra, magari trovandosi virtualmente nel mezzo di un bombardamento in Siria».

Lei è da sempre impegnato in tante battaglie civili. È una scelta precisa, che molti attori non fanno: perché pensa sia importante?

«È importante che ogni persona si riappropri della propria vita sociale. Viviamo in un’illusione che non corrisponde alla verità: che la soddisfazione ci arrivi dal potere e da quanto siamo importanti. In realtà è vero l’opposto: la felicità è data da quello che riusciamo a condividere con gli altri, da quando facciamo l’amore a quando cuciniamo per qualcun altro. Le cose che ti riempiono non sono alti stipendi, ma quello che riesci a fare per la famiglia, per le persone che ami e per la tua collettività, che sia la tua squadra di calcio o il tuo partito politico. È nel riscoprire questo modo di stare insieme che poi tante persone si trovano a fare volontariato, a mettere al servizio degli altri le loro sapienze e le possibilità. Non è un discorso che riguarda solo i personaggi pubblici: in molti ambiti, dalle scuole agli ospedali, ci sono persone che fanno funzionare le cose con l’amore per il loro mestiere. Individuare dei progetti a favore della collettività, non del business personale di uno solo, è un modo più felice di vivere».

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