Jasmine Trinca: io, Sean Penn e The Gunman

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Momento d’oro per Jasmine Trinca. Dopo averla vista in Maraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani e in Nessuno si salva da solo di Sergio Castellitto, il 7 maggio sarà sugli schemi nell’action movie The Gunman di Pierre Morel, al fianco di Sean Penn e Javier Bardem. Dopo l’anteprima di ieri sera al Teatro Petruzzelli di Bari, nell’ambito del Bif&st 2015, abbiamo incontrato l’attrice romana in una conferenza stampa aperta anche al pubblico.

Come sei arrivata a The Gunman?

Normalmente per le attrici italiane è un po’ difficile accedere a un panorama internazionale, però questa volta io non sono passata attraverso la trafila ortodossa di mille provini. Sono arrivata a The Gunman perché Sean Penn, protagonista e produttore del film, aveva apprezzato Miele di Valeria Golino. Ci siamo poi incontrati a Barcellona con Pierre Morel, il regista, e successivamente ho fatto alcuni provini con gli americani. Sicuramente è stato un accesso privilegiato.

Jasmine Trinca sul set di The Gunman
Jasmine Trinca sul set di The Gunman

Com’è stato fare un film con una produzione americana e con due star internazionali?

Io per mia fortuna ho i piedi molto per terra nella vita, forse troppo. Per cui a tratti, e sottolineo a tratti, ho avuto il sangue freddo di essere con loro senza farmi venire un coccolone per il fatto di dover recitare con Sean Penn e Javier Bardem (ride, ndr)! Questo fatto di stare piantata a terra mi è stato utile. Allo stesso tempo, una produzione americana è diversa, è tutto grande, tutto spettacolare, c’è un dispiego di mezzi forse non tutto necessario. In Italia facciamo cinema su scala ridotta, dato anche il momento difficile. Ma una produzione in cui si lavora in pochi io personalmente la preferisco, pur essendomi molto divertita girando The Gunman.

Ti sei preparata fisicamente per affrontare le scene d’azione?

A parte una scena con un toro, aggiunto in post-pruduzione, salti e capriole li ho fatti tutti io e mi sono fatta anche molto male! (ride) Nessuna preparazione fisica, però, un po’ perché mentre il personaggio di Sean Penn per lavoro deve essere allenato, il mio a un certo punto diventa una signora che vive a Barcellona in una bella villa e quindi quando deve iniziare a fuggire scappa come una signora borghese.

Jasmine Trinca al Bif&st 2015
Jasmine Trinca al Bif&st 2015

Nel film, le multinazionali sono accusate di trascurare i diritti umani.

Lavorare con Sean Penn in un film che forse, semplificando, definisco d’azione vuol dire portare anche istanze che sono politiche. Lui nella vita s’impegna molto a livello umanitario, da Haiti a mille altre cose.

Dopo il Brasile di Un giorno devi andare di Giorgio Diritti e questo film in Africa, che rapporto hai con il sud del mondo?

Rispetto alla mia vita che ha preceduto la carriera di attrice, grazie al cinema ho avuto la grande fortuna di entrare in contatto con persone e luoghi anche molto remoti e distanti dal nostro mondo. Passare tanto tempo con la troupe in Brasile è stata una vera forma di conoscenza. Nel film di Diritti ero molto emozionata, era un’opera piena di sostanza, abbiamo girato con gli indios e ciò ha richiesto tutto un altro tipo di approccio. In The Gunman, invece, quello che si vede alla fine è nei dintorni di uno slum, ma non c’entra niente col Brasile, non ci saremmo mai andati! Il tipo di approccio è stato veramente diverso.

Come prepari una parte? Quanto ci metti di personale nel ruolo che ti viene assegnato?

Un tempo avrei risposto che c’è sempre qualcosa di me in ogni personaggio che interpreto. Adesso, invece, c’è stata una trasformazione, e non so se qualcuno se ne sia accorto. Ovvero, il film pian piano entra in me (sorride), nel senso che mi è capitato di iniziare ad assorbire qualcosa dei film e dei personaggi che di volta in volta interpreto: per cui in Amazzonia mi sono sentita mistica, quando ho fatto un film francese dove la protagonista sveniva sempre ho iniziato a svenire, poi da quando ho fatto Miele non riesco più a ritrovare la mia identità precedente (ride). Al di là delle battute, c’è stato un processo inverso per cui anche se c’è qualcosa di me nei personaggi, ora sono più i personaggi a entrare in me.

Sergio Lorizio