“Nothingwood”: la storia di Salim Shaheen, il regista eroe afgano dai 110 film girati con niente

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In un paese dove il cinema e ogni altra espressione artistica sono bandite, minacciate, perseguitate, esiste un uomo che ha realizzato 110 film. Produttore, regista, attore e distributore dei suoi stessi lavori, il prolifico ed eccentrico Salim Shaheen (tre o quattro film all’anno) è il grande protagonista dell’inesistente industria cinematografica in Afganistan, priva di alcuna risorsa, come suggerisce il titolo del documentario a lui dedicato, Nothingwood, realizzato dalla regista francese Sonia Kronlund, da quindici anni reporter nella terra martoriata dalla guerra e dal regime repressivo dei talebani.

Autodidatta, analfabeta, ma nato per essere un leader, Shaheen realizza insieme agli amici e collaboratori di sempre un film dietro l’altro, improvvisando set, recitando, cantando, ballando, mostrando i muscoli. La gente lo riconosce per strada e lo venera come un eroe buono e forte, gli stessi talebani sono suoi grandi fan. Da ragazzino, come in Nuovo Cinema Paradiso, si infilava di nascosto nelle sale cinematografiche per guardare film di Bollywood e pellicole occidentali dal sapore esotico. Ora realizza sgangheratissimi film di azione, scampando ad attentati, affrontando minacce e continuando a fare film, qualunque cosa accada.

Selezionato alla Quinzaine di Cannes, il documentario è arrivato anche al Biografilm di Bologna, dove ha vinto la menzione speciale della Giuria Opera Prima e il Life Tales Award per essere “il più travolgente racconto biografico del concorso”. Abbiamo incontrato Shaheen e due attori, Faridullah Mohibi e Qurban Ali Afzali, protagonista quest’ultimo di un vero e proprio giallo. L’uomo infatti, che da Parigi avrebbe dovuto riprendere un aereo per Kabul, ha deciso di non tornare a casa facendo perdere le sue tracce in Francia. Secondo la Kronlud, la ragione sarebbe da far risalire al fatto che l’attore, molto effeminato, interpreta spesso ruoli femminili, vestendo il burqua in show televisivi che puntano il dito contro la violenza sulle donne. Un personaggio assai provocatorio che naturalmente non è passato inosservato. “Non ho problemi a interpretare ruoli sia maschili che femminili – si confessa Qurban – lo facevo anche da bambino. Mio padre era molto violento contro mia madre e vorrei aiutare le donne a svegliarsi dal loro sonno e cercare la libertà. Sono stato spesso picchiato dai talebani, tormentato da lettere e telefonate. Hanno minacciato anche la mia famiglia e sono stato costretto a rinunciare ad alcuni show».

«Ho accettato di fare questo documentario – dice invece Shaheen – perché Sonia non è venuta in Afganistan per giudicare governo, cultura e religione del mio paese, ma per raccontare il mio lavoro. La funzione del cinema è quella di insegnare qualcosa alla gente e i miei film condannano la violenza sulle donne e lo spaccio di droga, parlano di pace e tolleranza. I talebani mi minacciano anche perché ho cominciato a usare delle attrici, ma io vado avanti per la mia strada».

Nonostante divieti e persecuzioni, la maggior parte della popolazione sogna di recitare. «Tutti vorrebbero diventare attori, persino il Presidente della Repubblica e i suoi ministri. Ma in Afganistan non esistono scuole di cinema e bisogna imparare guardando altri film. Se mi candidassi alla presidenza della repubblica vincerei facilmente, ma quale paese mi ritroverei a governare? Un paese devastato: i pakistani non lasciano che l’Afganistan cresca e si emancipi».

Ma quali sono stati i film che hanno spinto Shaheen a diventare l’uomo-cinema? La risposta è davvero sorprendente. «Sono cresciuto con Franco e Ciccio, avevo otto anni e li adoravo. A casa ho otto dei loro film, quando sono triste li riguardo e rido grazie ai loro dialoghi. Vedevo anche molti film sull’antica Roma. E poi c’è il grande Bud Spencer, mi piaceva quando portava il cavallo sulle spalle e quando mangiava fagioli». Il suo grande sogno è quello di ingaggiare Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger nei suoi film. «Sarebbe una bella lotta ma sono convinto di poterli stenderli entrambi con un bel cazzotto».

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